Giudizi oversize

Ciò che leggerete di seguito è una storia inventata per contenere una serie di verità che ci riguardano in prima persona. In particolare sul corpo (femminile), e il modo in cui i cambiamenti che lo investono possono essere vissuti in famiglia, a scuola, nella società in generale.

Questa storia non ha nulla a che fare con la mia. Tuttavia molte emozioni, ma soprattutto riflessioni, sono mie, ed ho avuto modo di approfondirle sulla mia pelle, ma anche osservando la realtà che mi circonda e leggendo libri sull’argomento.

Voglio provare questo esperimento: affidare ad un io, con una storia immaginaria, una serie di riflessioni mie. Io ci metto la mente, il mio alter ego la faccia.

Ah, è una cosa lunga, e da metabolizzare.

Buona lettura.

Sono entrata in un bar e hanno iniziato a piovermi addosso complimenti, come se li desiderassi, come se li avessi richiesti. Come se le persone avessero bisogno di farmi sentire accettata tramite le belle parole, dovessero scandire il mio valore al suono di “Come sei bella, ma quanti kg hai perso?”

Come se il mio valore fosse legato ai kg che ho addosso, o peggio, a quelli che non ho (più).

Da piccola ero grassottella. Sono sempre stata pienotta, rispetto alle mie amiche, alle mie coetanee, rispetto a come volevano vedermi le maestre e i professori.

Ma a me interessava solo mangiare mentre vedevo qualche cartone animato, oppure mentre leggevo qualche libro; delle diete, della forma fisica non mi importava niente.

Ero sempre quella che mangiava di più, ma per me non era un problema, anzi. Mi divertiva perchè questa cosa mi rendeva diversa dagli altri. Così come essere tanto appassionata di storia mi dava un tono, e mi faceva parlare di cose che i miei coetanei ignoravano, allo stesso modo mangiare di più era qualcosa di mio, solo mio.

Poi le cose sono precipitate tutte insieme. Sono diventata signorina e così, all’improvviso, ho iniziato a perdere peso, le rotondità “in eccesso” si sono trasformate in curve femminili, lo stomaco mi si è chiuso e, piano piano, ho perso la mia amica fame, i miei kg di troppo, la mia specialità. Nel giro di poco tempo mi sono ritrovata in un corpo che non era il mio.

Abitavo una pelle che non conoscevo, e la cosa peggiore di tutto questo è stata il modo in cui le persone hanno iniziato a guardarmi.

I miei compagni di classe, per cui fino all’anno prima ero l’amica grassoccia con cui ridere, fare scommesse e fare scherzi agli altri della scuola, hanno smesso di ridere con me, hanno perso quella confidenza per iniziare a volerne un’altra: mi guardavano con occhi mai visti, c’era desiderio in loro, c’era un abisso nero in cui sentivo che volevano spingermi.

Alcune mie amiche erano rimaste più o meno uguali, qualcuna aveva l’acne, qualcuna si era gonfiata, qualcuna sudava tanto. Neanche loro comprendevano la mia trasformazione da brutto anatroccolo in cigno, e hanno iniziato ad evitarmi, a prendermi in giro, ad escludermi.

Mia madre era contenta: dopo anni di segnali, di occhiatacce, di tentativi di nascondermi la cioccolata, o di convertirmi al mondo delle sfilate anzichè delle sagre di paese, finalmente ero magra, e poteva mostrarmi con orgoglio a tutti quelli che conosceva.

Anche mio padre ha iniziato a trattarmi diversamente: trovava scuse per non uscire più a cena con me, era sempre stanco, o aveva lavoro arretrato da fare; e poi, cosa che mi ha devastato per anni, ha smesso di abbracciarmi. E, a differenza degli sguardi dei miei coetanei, nel suo leggevo paura. Paura di spezzare qualcosa; sorpresa per quello che ero diventata, e paura per non essere in grado di gestirlo. Di gestirmi. Di gestirsi.

Fare i conti con questa cosa è stato per me molto pesante, perchè mi sono spaccata in due: una parte di me che voleva attirare l’attenzione di mio padre, perchè non comprendeva come mai, nonostante fossi diventata più bella, più magra, più come mamma desiderava, lui mi respingesse, e un’altra che non ne poteva proprio di quel suo sguardo impaurito, e di quelle fantasie che si accavallavano su di me e che erano stampate negli occhi degli altri uomini.

Dopo aver compreso che mia mamma non mi avrebbe mai appoggiato, perchè per lei era normale che una bella ragazza fosse corteggiata, desiderata, al centro dell’attenzione degli uomini, e che mio padre ormai non mi guardava neanche più, ho deciso di salvarmi ricorrendo all’unico amico che non mi aveva mai deluso nè giudicato: il cibo.

Ecco che a 19 anni ho iniziato a mangiare voracemente, ignorando il senso di sazietà, ignorando i mal di pancia, le nausee, il mal di testa che mi impediva anche di alzarmi dal letto. Ignorando il disappunto sul viso dei miei genitori, i commenti beceri di mia madre che, quando pensava che non la sentissi, piangeva con mio padre chiedendosi dove avesse sbagliato per meritarsi una figlia grassa, ignorando mio padre che continuava a non guardarmi e anzi, quelle poche volte che lo faceva, sembrava compatirmi, ignorando il vomito, ignorando ogni speranza di sopravvivere a quella furia che si prendeva tutto il bello di me, ho preso peso.

Qualcosa tipo 20 kg in pochi mesi.

Ero contenta, la gente non mi guardava più con desiderio, non c’era lascivia negli occhi degli uomini, nè invidia in quelli delle donne. A poco a poco sono riuscita a mettere tutte le distanze possibili tra me e quel mondo ingiusto e sporco cui sentivo di non appartenere.

A poco a poco mi sono riappropriata del mio corpo e mi piaceva vedermi di nuovo tonda allo specchio. Mi piaceva che quelle rotondità potessero ostacolare, ritardare, addirittura impedire la mia vita in società.

Provavo soddisfazione nell’evitare tutto ciò che non comprendevo, e che mi infastidiva, perchè non volevo cambiare la mia visione di me stessa.

All’epoca non me ne rendevo conto, ma mi stavo negando di crescere, di sentirmi, di guardarmi, di essermi amica, anche se non mi conoscevo più. Mi stavo perdendo la possibilità di esplorarmi, perchè avevo troppa paura che anche gli altri potessero osservarmi diversa, più donna, e potessero pensare di me cose al di fuori del mio controllo.

Finchè non ho capito che non erano gli altri i miei nemici: ma ero io stessa che odiavo il mio corpo, le mie sembianze e le mie emozioni, al punto da sabotare tutte quelle spinte vitali che sentivo dentro, per impedirmi di vivere, di confrontarmi con l’ignoto, di scoprire che, in realtà, mi piacevo anche da adulta.

Ora ho 35 anni, sono passati anni in cui mi sono odiata, mi sono amata, ho cercato di capirmi, di assecondarmi, di vivere serenamente la mia fisicità e anche la mia mentalità.

E se ho capito che posso essere la più grande nemica di me stessa, ho anche compreso che la società non fa sconti a nessuno.

Che non importa se sei magra, o grassa, il tuo corpo è bersaglio di giudizi sempre e comunque e, per quanto si possa essere forti per sopportare gli occhi indiscreti e le critiche non richieste degli altri, è sbagliato che qualcuno debba dirti cosa è meglio per te, per la tua salute, come dovresti essere, quale forma dovresti accettare.

Che i primi commenti nascono in famiglia, perchè purtroppo è ancora e sempre valida l’equazione: magrezza=salute. Che ad uno stile di vita sano debba corrispondere necessariamente un corpo in forma, tonico. È difficile comprendere che, pur avendo 5 kg in più, si può essere sani, e quei kg sono gli aperitivi, le cene fuori, gli spaghetti di mezzanotte, sono le situazioni che fanno bene all’anima, che ti fanno stare bene con te stesso, e a cui è possibile non voler rinunciare.

Quando ero grassa, tutti si sentivano in dovere di dirmi di dimagrire, che perdere chili mi avrebbe fatto bene, ne avrebbero giovato pelle, cuore, ossa, umore. Di una visita dal dentista ricordo solo lo sguardo accusatorio della segretaria, una trentenne super in forma, con leggins, stivali e camicetta attillata, che appena mi ha vista si è toccata la pancia, per poi guardarsi allo specchio dell’ingresso e bersi la sua tisana drenante, come se in quel modo potesse allontanare da sè il rischio di ingrassare; e ricordo il dentista, che doveva togliermi un dente del giudizio, e per tutta l’operazione non ha fatto che ripetermi l’importanza di un corpo sano, dandomi nomi e numeri di suoi colleghi dietologi che avrebbero fatto miracoli!

All’inizio io rispondevo anche a chi faceva insinuazioni simili, dicevo che mi piacevo, che stavo bene, e tutti ripetevano “Ma non puoi piacerti con tutti quei kg! Non saresti più contenta se ti vedessi più magra? Se la tua pancia fosse piatta? Hai un viso così carino, se dimagrissi lo valorizzeresti tanto!”

Poi ho smesso di rispondere, ho addirittura smesso di uscire di casa, perchè non riuscivo più a sopportare quelle critiche gratuite. Mi stavo laureando in lettere moderne, ero la migliore del mio corso, eppure tutti mi consideravano la corsista obesa, mai quella che rispondeva sempre alle domande, mai quella che rimaneva a parlare con i prof oltre la lezione per chiedere chiarimenti, mai quella che aiutava tutti durante gli esami.

Io sono stata sempre quella grassa. E nessuno si è mai preso la briga di chiedermi: “E tu come stai? – Quali sono i tuoi sogni? – Cosa vuoi fare dopo la laurea?”

Chi si avvicinava a me, si avvicinava al caso umano dell’università, da prendere in giro o da compatire. Come se oltre il mio grasso non ci fossi io. Come se il grasso fosse un tratto della mia personalità.

E il pregiudizio sul fisico è così radicato in noi, che anche io ho iniziato a pensare a me come alla ragazza grassa, e il numero sulla bilancia rappresentava il mio disvalore, e più aumentava, più la mia personalità si nascondeva dietro quella cifra.

Non parliamo poi del mondo dello sport: ho cambiato tre palestre, e i personal trainer che ho trovato non mi hanno mai saputo motivare a fare sport perchè è bello, perchè le endorfine mi fanno sentire meglio: tutti facevano leva sul dimagrimento. Nessuno mi ha mai detto di ascoltare il mio corpo durante gli esercizi, di assecondarmi, di trovare il mio ritmo, di non forzarmi, che l’obiettivo dello sport non è avere la forma fisica ideale ma allenarsi perchè è bello, perchè è piacevole, perchè ci si sente migliori, più attivi. Perchè si impara a conoscere il proprio corpo anche sotto sforzo, e ci si apprezza nella fatica. Sembravano più ossessionati di me dal volermi far dimagrire. E invece io ero in palestra per trovare la mia dimensione, per fare qualcosa che mi piacesse, non perchè a tutto deve essere sempre trovata un’utilità, o un secondo fine.

E le cose non sono cambiate neanche ora che ho perso i miei kg di troppo: ora che sono tornata ad avere una forma umana, degna di essere accettata dalla comunità in cui vivo, degna di sentirmi parte dei discorsi e dei sentimenti che provano tutti. Oggi sono la ragazza che è dimagrita, quella che ha imparato ad amarsi. Sono la ragazza forte, che ha superato l’obesità senza dare fastidio a nessuno. Oggi sono una ragazza meritevole di attenzione perchè sono magra, sono “bella”, perchè le persone possono guardarmi senza imbarazzarsi. Loro.

Quando ero grassa si vergognavano gli altri per me, nessuno mi guardava, o lo facevano di nascosto, e i sorrisini e le parole bisbigliate a fior di labbra sembravano confortare tutti, loro e me, dall’onta di essere obesa. Come se giudicarmi ristabilisse un certo ordine divino, e sollevasse gli altri dalla responsabilità di accettare la (mia) diversità, e me dal mio voler essere diversa. Un po’ come dire: ho fatto il mio show, ho regalato la dose di stupore quotidiana al mondo, ho raccolto abbastanza attenzioni per il mio essere grassa, ora posso tornare a casa, continuare a mangiare, e ad alimentare lo sdegno degli altri, e il conforto di non essere come me.

Ora che sono magra non c’è una sola persona che, appena mi vede, non mi dica “Come stai bene! – Quanto sei dimagrita! – Così magra sei bellissima! – Anche prima eri bella, ma vuoi mettere ora? – Come hai fatto a perdere tutti quei kg? Io non ce la farei mai!”.

Per tutti è una corsa a farmi sentire accettata. Tanto mi hanno escluso prima, tanto mi amano ora. Perchè sono come piaccio a loro, perchè non faticano ad accettarmi, perchè possono guardarmi.

È tutta una corsa a sottolineare quanto possa essere difficile perdere peso, quanto sia stata forte io ad arrivare fino in fondo. Quanto non lo sarebbero stati loro, se fossero stati al mio posto.

Il punto è che, una volta che nasci in uno stereotipo, che abiti un pregiudizio, non te ne liberi più. Anche se cambi, anche se di ciò che eri prima non ne rimane nulla. Questo perchè è più semplice fermarsi all’evidenza, e continuare solo a parlare di quella.

È più facile vedere un corpo grasso o magro, anzichè una sofferenza, o una persona dietro quei kg , comprenderne le emozioni, e i cambiamenti che si succedono al suo interno. È più semplice essere un corpo da cambiare, da perfezionare, che un’anima da curare, perchè stare dietro a tutte le vicissitudini che si avvicendano in noi richiede tempo, coraggio, trasparenza, richiede assenza di filtri.

E purtroppo noi nasciamo con dei filtri attraverso cui interpretiamo la realtà, nè ci chiediamo se ciò che vediamo, di cui parliamo, è reale, o è distorto. Ma non ci interessa, perchè, in realtà, quel filtro ci protegge da ciò che è diverso da noi.

Ammettiamo che un modello sia il più funzionale, il più giusto, e non ci viene il dubbio che, al di fuori di esso, possano essercene altri, altrettanto efficienti, altrettanto capaci di rispondere alle esigenze individuali.

Accettare un modello significa proteggerci, non consentire alla diversità di metterci in dubbio, e vivere sereni, all’ombra delle nostre convinzioni. Nei castelli in aria che ci costruiamo e in cui risiediamo comodamente e al sicuro dalla realtà.

Ora che sono magra è come se avessi acquisito, all’improvviso, una dignità inaspettata: tutti mi guardano, mi ammirano, eppure, ancora, tutti si sentono in dovere di parlare del mio fisico.

Sono tornati gli occhi pieni di desiderio, i commenti neanche troppo malcelati per le strade, gli approcci poco signorili al bar, quel vedermi come donna, come tentatrice, quel considerarmi una spregiudicata o una provocatrice perchè ora posso indossare jeans aderenti o gonne a tubino.

Stavolta io non ho paura di tutto questo, perchè ho capito che alla gente non interessa cosa mostro di me, ma mi vedrà per ciò che fa comodo a lei, per ciò che conosce meglio, per ciò che le crea più piacere, meno disagio. Io ho un’identità che prescinde dal mio fisico. Il mio corpo non dice nulla di chi sono, se non ciò che appare. Ciò che desidero mostrare.

Piano piano sto facendo pace con il fatto che i pensieri degli altri su di me siano fuori dal mio controllo, e, più in generale, sto accettando che davvero molte poche cose rientrano nella mia sfera di controllo. Eppure ciò non mi vieta di vivere in pace con me stessa: con i miei kg, con la mia immagine, con quello che io penso di me.

Se tutta questa storia mi ha insegnato qualcosa è che, a partire da me stessa, il giudizio serve solo a trincerarmi dietro un solo modo di pensare, che mi impedisce di guardare tutto il resto che c’è, di apprezzare la diversità, dentro e fuori di me. Mi blocca in un punto, e lì c’è solo frustrazione, depressione, oppressione. Da quel punto non si va avanti nè si torna indietro.

Io, noi, invece, siamo fatti per progredire, per rompere le catene e ammirare il mondo da tutti i punti che stuzzicano la nostra attenzione. Che, in fin dei conti, ci siamo noi oltre quel punto, con le nostre complessità, fragilità e stravaganze, e questo ci rappresenta molto di più di un corpo, per chi ha la pazienza di osservare. Per noi, se abbiamo l’ardire di comprenderci e scoprirci.

18 commenti Aggiungi il tuo

  1. Alessandro Gianesini ha detto:

    Se la tua alter-ego è/era/è stata una buona forchetta, di certo Giulia è una buona penna, nel senso che quando c’è da scrivere non si tira certo indietro! 😛

    Comunque ci vedo un discorso già letto, stavolta più introspettivo, sull’accettazione di sé nel contesto in cui si è.
    No, non ti ho etichettata, te lo dico per evitare che ti faccia quest’impressione dalle mie parole, ma capisco la tua sensibilità nel cogliere elementi che, ai più, non fanno effetto o prendono per trascurabili.

    E’ dura la vita del sensibile e percettivo, di questi tempi. In questi luoghi.
    In realtà sempre e ovunque, però, di solito, sono quelli che hanno una marcia in più. 😉

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    1. ailuig91 ha detto:

      Io sono sicuramente anche una buona forchetta 🥰
      Com’e che si dice? Trova quello che ami e lascia che ti uccida!
      Ecco, amo parlare di queste cose, e questo articolo è parte di una storia molto più ampia e sfaccettata, magari ci scriverò una serie ☺️
      E no, non mi sento etichettata.
      Il discorso è stato già fatto, ma è un talmente tanto ampio, e investe tematiche così varie, che secondo me se ne possono analizzare tutte le declinazioni senza ripetere lo stesso argomento due volte 😃

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      1. Alessandro Gianesini ha detto:

        Ok, allora aspetto di vedere le altre declinazioni. E suppongo che siano almeno 5, come quelle latine! 🤣

        (E non parlare di buona forchetta in mia presenza, dilettante…) 😝

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      2. ailuig91 ha detto:

        5 per cominciare 😃
        Accetto il dilettante solo perchè ho avuto oggettivamente meno tempo di te per sperimentare 😃

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      3. Alessandro Gianesini ha detto:

        Questa gioventù screanzata… 🤦🏻‍♂️

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      4. ailuig91 ha detto:

        Lo dico sempre anche io🤦🏻‍♀️🤦🏻‍♀️

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      5. Alessandro Gianesini ha detto:

        🤣🤣🤣

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  2. Er puleggia ha detto:

    Non a caso … mai fermarsi all’apparenza,
    Anche il sale sembra zucchero
    😁😁😁😁

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    1. ailuig91 ha detto:

      Povero chi mangia un dolce salato 🤦🏻‍♀️🤦🏻‍♀️

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  3. Er puleggia ha detto:

    Ha mai mangiato un calzone prosciutto e formaggio , be potrebbe sembrare un croissant alla crema 😜

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    1. ailuig91 ha detto:

      Bè dai, a volte bisogna fermarsi anche prima delle apparenze 😃😂

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  4. Lo scrittore volante. ha detto:

    Brava come sampre!

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    1. ailuig91 ha detto:

      Più lunga delle altre volte sarebbe altrettanto opportuno😂

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  5. Lo scrittore volante. ha detto:

    Eh vabbè non dirlo a me guarda… xD

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  6. Ugo ha detto:

    Bisogna imparare a piacersi così come si è, senza rincorrere stereotipi che ogni giorno ci propinano in tv o sul web. Ma nello stesso tempo bisogna rispettare se stessi e il proprio corpo. Per i giovani forse è più difficile, ma è poetica sia una bella mangiata e e sia una bella corsa nei boschi.
    i genitori no , non possono sbagliare.E’ un argomento molto delicato.

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    1. ailuig91 ha detto:

      Quello che intendo dire io è che siamo considerati come dei corpi, non come persone. Che il nostro corpo è bersaglio di giudizi in ogni caso, sia se siamo magri sia grassi. È ovvio che bisogna accettarsi, ma è anche ovvio che, per quanto possiamo fregarcene dei giudizi altrui, ad una certa bisogna anche smetterla di porre l’attenzione sul corpo.
      I genitori, sì sbagliano, ma dire che loro non possono sbagliare significa ammettere che la società tutta non può permetterselo, eppure non siamo ancora così evoluti

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  7. Ugo ha detto:

    👍

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