Memorie di una quarantena

Suggerisco la lettura di questo articolo ascoltando “Le onde” di Ludovico Einaudi

Che cos’è successo quest’anno? Il tempo si è fermato, è così, e noi abbiamo dovuto inventarci il modo per farlo trascorrere.

Ci è passato addosso, dentro, e ogni cosa attorno a noi ne ha scandito il ritmo; i giorni, le ore, anche i secondi sono diventati pesanti come non potevamo immaginare. E quei secondi hanno lasciato il segno, contano il tempo dei nostri passi dentro di noi, di quei passi che a volte facciamo con esitazione, con timore, perché chissà che ci troviamo lì, e quindi poi ci allontaniamo perché non siamo pronti ad immergerci nell’oscurità, in quel buio che è la nostra anima, in quel silenzio in cui le nostre ferite ci parlano, e ci raccontano una storia che non vogliamo sentire, perché è la storia della nostra guarigione, di come possiamo salvarci; ma a volte a noi piace restare ammalati, perché richiede meno sforzo.

E quindi che cos’è successo quest’anno? Abbiamo avuto il tempo per soffrire, e poi per cambiare, e anche per soffrire di questo cambiamento, per poi guardarci allo specchio e chiederci perché. Se incontrare noi stessi è davvero così necessario ed inevitabile.

Se prima ci mancava il tempo per essere felici, ora abbiamo avuto addirittura un anno in cui guardarci dentro, in cui interrogarci, un anno per cambiare, un anno per scoprire.

Che ci sono muri, alti muri dentro di noi, che recintano le nostre emozioni, che le contengono, che ci permettono di vivere ignorandole quanto basta per uscire incolumi dalle giornate che ci divorano, dal lavoro che ci frantuma, dalle relazioni che non ci danno mai ciò che vogliamo davvero.

Ci sono muri così difficili da abbattere che è più semplice camminarci sopra, girarci intorno, grattarne, a volte, la superficie, e accontentarci di ciò che abbiamo, senza neanche osare affacciarci, anche solo per vedere cosa c’è oltre quel limite che vive con noi. Arrampicarci per curiosità, perché metterci in dubbio non è mai un modo di perdere, ma una possibilità di guardare altrove, di non fossilizzarci su un unico punto e pensare che la nostra intera vita sia tutta concentrata lì. Che inizi e finisca lì, perché altrove non c’è niente che meriti di essere scoperto.

Quest’anno è servito ad abbattere i muri? O a farci avvicinare ad essi? O a pensare che oltre può esserci altro, tutto il resto che resta escluso ai nostri occhi perché soffriamo di vertigini, o abbiamo paura del vuoto?

Cos’è successo quest’anno? Siamo stati in grado di prenderci cura di noi stessi? Non poter stare vicino agli altri, ci ha permesso di avvicinarci a noi? Di donare a noi, sì, proprio a noi, tutto quell’amore che quotidianamente riserviamo per gli altri? Cosa siamo stati in grado di fare in quest’anno, che non sappiamo ancora quando finirà, ma anche chiedercelo, a cosa serve? Come se le ferite profonde che ha lasciato in noi, se i solchi che il tempo ha scavato, si potranno riempire di soli aperitivi, o di cene al ristorante, o di baci e abbracci.

Io mi chiedo se ho fatto un buon uso del tempo che ho avuto a disposizione, e a volte la risposta è no. No, perché spesso ero troppo distratta da ciò che mi mancava per cercarlo in me. No, perché mi è più facile indugiare, e temporeggiare, e pensare che domani andrà meglio, e intanto che me ne faccio di oggi? Come posso stare meglio se oggi il mio cuore mi sta chiedendo attenzione?

A volte la risposta è sì. Sì, il tempo l’ho usato bene, perché ci sono delle convinzioni granitiche dentro di me che in quest’anno sono crollate, una dopo l’altra, lasciandomi scoperta, e guardandomi allo specchio, mai mi sono sentita più protetta di quando mi sono messa a nudo con me stessa, di quando ho lasciato che le mie certezze sparissero, per fare spazio al dubbio, alla meraviglia, alla potenza della scoperta.

Alla consapevolezza che le cose si rompono, e lo fanno di continuo, e siamo noi a tenerle unite, a perdere noi stessi nel tentativo di mantenerle intatte. Nella cieca convinzione che solo la nostra volontà, per quanto forte e ferma, possa controllare ciò che invece deve volare; ciò che sfiora la nostra vita per un attimo, che può sembrarci eterno, ma è sempre un attimo, e già l’istante dopo non c’è più. E non ci siamo più neanche noi, se ci leghiamo alle cose, e se non ci lasciamo andare in pezzi, per poi raccoglierci e rimodellarci secondo un gusto nuovo, al ritmo di una musica che è più in sintonia con noi.

Ecco cos’è successo quest’anno. Il tempo si è rotto. Si è spaccato tutto ciò a cui noi ci aggrappavamo: le sicurezze, i tormenti, le compagnie, le abitudini che portavamo avanti con più o meno soddisfazione. Si è frantumato tutto contro una realtà che non ha avuto il cuore, né il tempo, di provare pietà per noi, che ci siamo persi a raccogliere i pezzi della vita distrutta, senza pensare di rimettere in sesto noi, di ritrovare il nostro equilibrio nella sola essenzialità che ci è rimasta da vivere.

6 commenti Aggiungi il tuo

  1. Alessandro Gianesini ha detto:

    Non l’hai sprecato, il tempo, se te ne esci con simili riflessioni. 😉

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    1. ailuig91 ha detto:

      Sei generoso oggi 😃

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      1. Alessandro Gianesini ha detto:

        🙂

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  2. ugologu ha detto:

    È stato un”tempo” strano.Tu hai avuto il tempo di riflettere? Sei riuscita ad analizzarti? Beata te! A me è sì è fermato il tempo, sono riuscito a non fare niente ed a stancarmi per non aver fatto niente, salvo poi ripartire a razzo,dopo il liberi tutti.Ed ora ancora fermiamo.E ‘ un tempo strano,non c’è la guerra ma combattiamo, contro il silenzio,contro il forzato isolamento.E’ lecito ” sbroccare”, uscire dai binari.Ci hanno ferito,ma c’è la faremo😌

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    1. ailuig91 ha detto:

      penso che paragonare questo momento con la guerra non abbia il minimo senso, perchè sono due situazioni troppo diverse. e soprattutto non ci aiuta ad affrontare la realtà, e anche le conseguenze che questo comporta. Tipo sentire che non ce la facciamo più!

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  3. ugologu ha detto:

    Ce la faremo, mannaggia il T9

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