Storie di passi #2

19.12.2020 

Altro giorno, altra montagna.

Sabato mattina: presto per svegliarsi, il mondo stesso è avvolto nell’oscurità, in un sonno umido e nebbioso che nasconde la vita.

La destinazione di oggi è il Monte Ruazzo, e poi il Tuonaco, dei Monti Aurunci, meno conosciuti del più famoso Monte Redentore, ma ugualmente suggestivi e vertiginosi, a picco sul mare.

Il paesaggio si mostra vario e complesso, e lo sguardo si posa incessantemente sul mare. Mare dentro la montagna. Montagna sul mare.

Un’armonia di contrari, mille sfaccettature di un panorama unico, che solo l’uomo percepisce come distante.

L’uomo non è abituato a coniugare mare e montagna nella propria mente, è una sorpresa piacevole e sbalorditiva, un pensiero eccentrico. Ci stupiamo di osservare il mare dalla cima di una montagna: di essere tanto in alto eppure così a contatto con lo specchio d’acqua che contorna la vista.

La natura questo non lo sa: per lei mare e montagna sono sue libere espressioni, manifestazioni della sua potenza, di una grandiosità rispetto alla quale noi possiamo solo inchinarci.

Oltrepassando una foresta di lecci, ci immergiamo in una faggeta, e la vista del mare scompare.

Sono tante le tracce dell’uomo: di insediamenti che rispettavano la natura, che vivevano in armonia con essa.

Uomini che facevano del bene alla natura, riuscendo a trarne vantaggio senza indebolirla.

Uomini che si accontentavano, senza pretendere di sfruttarne le risorse, senza dare nulla in cambio.

Leggende di vita, di morte, di passaggi antropici accompagnano i nostri passi.

Particolarmente suggestiva la storia del fosso di Fabio, una cavità carsica attorno alla quale si è tramandata la storia di un esattore delle tasse di età preunitaria che, dopo aver riscosso i soldi, trova rifugio in una casa nel bosco. I proprietari gli danno da bere e da mangiare, un rifugio caldo per la notte. Al mattino, i soldi di Fabio sono scomparsi, insieme a coloro che l’avevano ospitato. Disperato, l’esattore chiede ad un contadino dove siano i padroni di casa, e lui gli dice di aver dormito nella “casa dei briganti”, che sono sicuramente già scappati con i suoi soldi. Fabio, pur di non tornare indietro e subire il disonore, chiede di essere portato in un punto in cui c’era l’acqua, per potersi suicidare.

Storie di briganti, di esattori, di contadini. Storie di orgoglio, di (dis)onestà, di ruberie, di povertà, storie di contraddizioni, di libertà.

“Briganti”, sempre loro, quelli che si oppongono all’ordine costituito, che non lo sovvertono, ma lo aggirano con l’inganno, con la malizia.

Storie da ascoltare per comprendere meglio noi stessi, che le nostre emozioni hanno origini lontane.

Storie di contorno, che ci permettono di interpretare meglio la realtà, che ci danno la libertà da una visione univoca della verità.

Osserviamo il paesaggio che ci circonda, non solo le cose grandi che si impongono davanti ai nostri occhi, ma anche e soprattutto tutto ciò che ci sta intorno, per terra, in alto, sugli alberi, tronchi abbattuti, terra pericolante, foglie, raggi del sole che non penetrano nella boscaglia, tanto sono folti i rami degli alberi. Bucce di mandarini, che testimoniano quanta mancanza di rispetto possa avere l’uomo nei confronti di una natura che l’accoglie senza riserve, senza apparenti difese.

Proseguendo il giro, usciamo anche dalla faggeta, per ritrovarci nuovamente di fronte al mare: un panorama suggestivo in cui, proprio come in un dipinto, mare e montagna sono di nuovo insieme, in un’armonia perfetta, rispettando una geometria senza regole umanamente comprensibili, un ordine che sfugge al controllo dell’uomo, e che ci lascia senza fiato, inchinati dinanzi alla meraviglia.

La salita verso la cima è interessante: è leggermente ripida, ma non è faticosa. Sa di conquista.

Siamo contornati dal mare e da tutte le montagne del Lazio, al confine con l’Abruzzo e con la Campania.

Versante laziale nord
Versante orientale, confinante con l’Abruzzo
Versante meridionale, confinante con la Campania

Siamo perfettamente immersi in un paesaggio che ci offre le forze per desiderarlo, per trovare in noi la spinta e l’attenzione necessarie per riuscire a conquistare un altro pezzettino di libertà.

Raggiunta la vetta, il famoso Monte Redentore si staglia in tutta la sua imponenza dinanzi a noi, tuttavia appare piccolo rispetto a come siamo abituati ad osservarlo dal basso, dalla citta. Un complesso roccioso particolare, uno dei tanti tra tutte le montagne in cui è inserito.

La bellezza consiste nell’osservare le montagne che cadono a picco sul mare. Nell’osservare il mare lambire la costa, e riempire il nostro sguardo.

Davanti a noi è mare, alle nostre spalle sono montagne.

Il sole è alto nel cielo, c’è foschia, ma i cuori sono leggeri, gli animi sono ricolmi di pace.

Un paesaggio così immenso ci fa sentire piccoli, ci dà la percezione della nostra finitezza, della libertà che possiamo raggiungere se non pretendiamo di controllare l’ingestibile. Se ci lasciamo andare. Se accettiamo che possiamo solo conquistare fiducia in noi stessi, che tutto il resto non ci riguarda.

Scendiamo per poi risalire verso il Tuonaco, dove ci fermiamo in una pausa pranzo vista mare, un panorama che non possiamo ammirare neanche pagandolo a caro prezzo in qualsiasi ristorante stellato.

Convivialità, condivisione, sorrisi, battute, vicinanza emotiva, ho l’amaro, lo volete? Io ho il caffè, ecco le tazzine! Gli gnocchi? Che buoni! Mi fai una foto? I pomodori li hai scottati o messi a crudo? Ecco le crostatine, prendine due, ho già finito altre due buste.

Ci convinciamo di aver bisogno di qualcosa di più di ciò che ci serve davvero.

Siamo indotti a credere di volere di più, e noi ci crediamo, e rincorriamo la felicità nella materialità, nel possesso: più possediamo, più siamo felici. E non si spezza mai questo circolo vizioso, e più possediamo cose, più ci svuotiamo di senso, di leggerezza, di immediatezza.

Cerchiamo la libertà nelle cose che ci rendono schiavi, e ci convinciamo di aver scelto per il nostro bene quando quelle cose le otteniamo, sono nostre, quando leghiamo la nostra felicità a ciò che abbiamo, non a ciò che sentiamo, a ciò che siamo.

Ci ritroviamo a ridere tutti insieme, ed è questo il valore aggiunto delle escursioni: non solo ritrovare il contatto con la natura, ma soprattutto con la semplicità. In montagna, o davanti al mare, con i sensi pieni di meraviglia, bastano una battuta, un sorriso o la condivisione a soddisfarti. Ti spogli di tutto, e resta solo l’essenziale. Resti tu.

Scendiamo per una discesa sassosa, ripida, imprevedibile, anche un po’ adrenalinica, che mette alla prova le nostre gambe, ma siamo immersi nei colori della natura, di piante che sbocciano d’inverno e tingono la grigia pietra di rosso, di rosa, di giallo. I sensi esplodono, verdi ciuffi si stagliano dalla terra, ruvidi al tatto, dal profumo intenso; cespugli pieni di colori accompagnano i nostri passi, ci regalano un sorriso durante una discesa che richiede attenzione. I sassi calpestati ci rimbombano nelle orecchie, e rosse rose canine aspettano di essere colte ed assaporate.

L’escursione sembra non finire, il gruppo è unito, si parla, si ride, ci si racconta: storie veloci, divertenti, aneddoti di vita; racconti importanti, sprazzi di esistenza complicata; specifiche tecniche da escursionista esperto (cos’è e a cosa serve l’azimut?).

Si parla, e ci si ritrova: ci si consiglia, si scambiano pareri, si entra in relazione con le proprie emozioni e con quelle altrui.

Camminare non per raggiungere la vetta, o il parcheggio: passeggiare dentro di noi per aumentare la consapevolezza, la presenza, la fiducia in noi stessi. Per scoprirci migliori, o diversi. Per imparare ad ascoltarci, e a vivere un’esperienza con tutti e cinque i sensi.

Liane lunghe e forti contornano il sentiero del ritorno, per scoprire che sono le sigarette dei contadini. E per connetterci ad una realtà più semplice, in cui non serve cercare al di fuori della natura ciò che è necessario per vivere.

La fine di un’escursione è sempre un po’ triste, come se venisse meno una certa magia, se si spezzasse un incantesimo, e nessuno fosse davvero pronto a tornare alla vita reale.

Ma quell’escursione l’abbiamo vissuta, in quei luoghi ci siamo stati, quei passi li abbiamo vissuti tutti dal primo all’ultimo, e la magia resta in noi, ci accompagna nella realtà, perché diventa un modo di vivere: prestare attenzione e scorgere la meraviglia ad ogni passo.

7 commenti Aggiungi il tuo

  1. Alessandro Gianesini ha detto:

    In questo racconto ho respirato tutta la tua essenza! 🙂

    (compreso quando ti lamenti delle bucce di mandarino!!! 🤣🤣🤣)

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    1. ailuig91 ha detto:

      😂😂😂 attento, rischi di diventare come me (con le bucce di mandarino) 😃😎

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      1. Alessandro Gianesini ha detto:

        Naaa… io ci vedo il lato positivo: han butta qualcosa che male non fa e han portato via il resto! 😉

        Io e te uguali? Ma quando mai? Mi ci vedi con quei capelli? 🤣🤣🤣

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      2. ailuig91 ha detto:

        In realtà le bucce di mandarino fanno malissimo al terreno e agli animali che le mangiano, perchè sono estranee a quell’ecosistema specifico, e possono sono inoltre piene di concimi o altri agenti chimici che non sono naturalmente sostenibili. Finita la parentesi superquark, sì, secondo me ci staresti bene con i miei capelli, non ti piacerebbero più lunghi? 😂

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      3. Er puleggia ha detto:

        Brava la terrò in mente da fare per la prossima volta sperando di trovare compagni di avventure in sintonia

        😜

        P. S. Metterò la foto al quanto prima
        😅

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      4. ailuig91 ha detto:

        Bravo ragazzo 😂

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      5. er puleggia ha detto:

        Apparte scherzi 😇

        Ogni escursione regala ricordi indelebili
        Storie , colori , sensazioni e quant’altro

        Complimenti per l’eccellente descrizione

        Buna scrittura 😉

        Piace a 2 people

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