A proposito di Bridgerton

Bridgerton, ossia prove di vita nell’Ottocento.

(Ci sono un po’ di spoiler)

La serie tv Netflix, prodotta da Shonda Rhimes tratta dai romanzi di Julia Quinn, e in onda dal 25 Dicembre 2020, si è aggiudicata il primo posto in classifica tra le più viste al secondo giorno dal suo debutto televisivo, confermandosi, dopo appena più di un mese, tra le cinque più grandi uscite della piattaforma tv.

A cosa si deve tutto questo successo?

A quanto sono fighi i protagonisti.

Ora che ci siamo detti la verità, possiamo raccontarci tutto il resto.

Dismettiamo per cinque minuti gli abiti che stiamo indossando proprio ora, chiudiamo gli occhi e fingiamo che tutti i discorsi sul patriarcato, il capitalismo, il femminismo intersezionale e le discriminazioni non siano mai esistiti, e vestiamoci di pizzi, merletti, coroncine imperlate di diamanti, frac e cappelli a cilindro.

Con una inverosimile macchina del tempo, ruolo che i nostri pc e televisori non vedevano l’ora di ricoprire, apriamo gli occhi e siamo a Londra, inizio Ottocento, lettori e spettatori indiscreti e pettegoli della vita di giovani donne che stanno debuttando in società, e di uomini che cercano la preda migliore con cui accasarsi.

Le otto puntate della prima stagione ruotano sostanzialmente attorno a questo: la figlia più grande della famiglia Bridgerton, Daphne, fa il suo ingresso in società, accolta dalla regina come la più bella, in cerca di marito.

Sebbene sia abbagliata dal miraggio del matrimonio per amore, tutto ciò che fa è fatto per salvaguardare le apparenze, per non incorrere nella temibile domanda “Cosa diranno ora gli altri?”.

È la figlia perfetta, che aspira ad un ruolo prestigioso, bene educata, mai scomposta, estenuantemente curata in ogni minimo dettaglio, che non conosce altra ambizione salvo un matrimonio che le consenta di avere una famiglia con tanti bambini da accudire e un marito da amare incondizionatamente.

Commovente, dico io.

Perfettamente sicura di ciò che vuole, nessun giovane di bell’aspetto, o con qualche titolo interessante, sembra fare breccia nel suo cuore, finché non arriva quest’uomo, il miglior amico di suo fratello, Simon Basset, duca di Hastings, che si dimostra superiore a tutti gli altri in fibra morale, in argomenti con cui riempire il vuoto che aleggia nelle occasioni mondane e, diciamocelo, in bellezza.

Perché (piccola nota personale) ciò che colpisce prima di tutto è la bellezza di questo Simon che, con quel sopracciglio perennemente alzato, e gli occhi scuri e penetranti, sembra custodire un segreto che speri tanto di essere la prescelta per scoprirlo.

Segreto che non tarda ad arrivare, in quanto questo Simon è il più classico dei classici belli e dannati, che non ha nulla da invidiare a Romeo di Shakespeare o, oserei dire, all’Edipo di Freu… ehm, volevo dire di Sofocle.

Perché questo duca è orfano di madre dalla nascita, abbandonato dal padre perché balbettava, e non abbastanza perfetto da meritare il suo amore.

Si convince, dunque, nel più scontato cliché psicologico, che non sarà mai degno di essere amato, e così non ci prova neanche, tentando di essere sempre impeccabile e seminando dietro di sé sofferenza e seduzione fine a se stessa, senza mai intrattenere un rapporto appena più intimo con una donna.

Insomma, uno che se la sa tirare, e pensa che la sua bellezza, e i suoi traumi, lo giustifichino.

Anche meno, direi.

Inevitabilmente, quindi, si incontra con Daphne, pronta a donare amore al primo che le dimostri sicurezza e che le faccia battere il cuore.

Si innamorano, o comunque sono reciprocamente molto attratti fisicamente, al punto da credersi innamorati.

Così lui inizia ad allontanarsi senza motivo; lei, confusa e ferita, frequenta il principe della Prussia, perché per un dolore tanto grande, è necessaria una vendetta sopraffina. Scegliere un nobile qualsiasi non va bene, ci vuole una posizione sociale che possa lenire le ferite d’amore, e il ruolo di principessa sembra essere il più adeguato.

Insomma, dopo varie peripezie, riavvicinamenti, baci, pensieri proibiti e mani che osano troppo, Daphne e Simon si sposano.

Vedi tu se uno, per una pulsione sessuale un po’ più spinta, deve ritrovarsi sposato.

I giorni prima del matrimonio sono pieni di silenzio, in cui ciascuno dei due si incolpa di aver incastrato l’altro in un rapporto non voluto, condannandolo ad un futuro di dolore e sofferenza.

A ragione, aggiungerei.

Dopo il matrimonio, tutti i contrasti sembrano appianati, i bollenti spiriti possono trovare pace, e la vita può andare avanti nell’inganno universale che il sesso risolva tutto. Che passare il tempo consumando la passione che ti consuma cancelli miracolosamente ogni forma di comunicazione e di ingorgo emotivo.

Tuttavia, i giovani sposi scoprono che serve ben altro che il sesso per amarsi, che i bambini non rendono felice la famiglia, ma è necessario un sacrificio molto più importante e profondo di quello richiesto per mostrare una facciata felice.

Intanto Anthony, il fratello di Daphne, è invischiato in una storia, anche questa un po’ dannata, con una cantante, ma essendo lui visconte, non può permettersi di stare con una non nobile, così anche loro si allontanano, per poi riavvicinarsi, per poi riallontanarsi, per tornare insieme e non lasciarsi più, e invece sì, si lasciano perché lui sembra più interessato a non perdere la sua posizione sociale che ad accettare l’amore di una plebea qualunque.

Troppo facile, in effetti.

Poi ci sono le storie della famiglia Featherington, le cui tre figlie fanno un ingresso in società molto più sciatto e scadente di Daphne. Le più interessanti della famiglia sono Penelope, una giovane dai capelli rossi, più in carne delle sue coetanee, disperatamente innamorata di Colin Bridgerton, uno dei fratelli di Daphne, talmente disperata da non riuscire a dirglielo, e vederlo, prima, convinto a sposare la cugina di campagna, Marina Thompson, e, poi, deciso a viaggiare in giro per l’Europa.

E Penelope rimane lì, spettatrice silenziosa delle sue stesse vicende sentimentali, incapace di dialogare con chicchessia, persino con se stessa, di lasciar andare le sue emozioni e di dimostrare a tutti che esiste anche lei.

Umiliante, davvero.

L’altra più interessante della famiglia è proprio Marina, una ragazza mal voluta dalla signora Featherington perché, bella com’è, ruba la scena alle figlie, che, a parte Penelope, non sono né tanto belle né tanto sveglie.

Si dimostra, nonostante tutto, inizialmente solida nei suoi sentimenti e nei suoi intenti, per poi lasciarsi andare ad una inevitabilità che oggi sarebbe superata senza problemi, ma che allora era l’unica contemplabile: incinta di un uomo che ama, partito per il fronte spagnolo, su pressione della zia, che vuole farla sposare al primo vecchio interessato a lei, opta per un matrimonio di piacere con Colin, tentando di ingannarlo e di sedurlo per far passare per suo il figlio dell’altro uomo: il gioco viene svelato, il ragazzo parte; Penelope soffre perché la cugina le ruba l’uomo, e poi perché lui se ne va; Marina soffre perché l’uomo che ama non è con lei, perché è incinta fuori dal matrimonio e, nonostante non voglia piegarsi alle regole dell’Ottocento, non ha scampo; mamma Featherington (un’Elena Sofia Ricci che ce l’ha fatta) soffre per l’onta pubblica di cui si è macchiata la sua famiglia.

Tutti hanno dunque un ottimo motivo per soffrire e non se lo lasciano sfuggire.

Mi dispiace, aggiungo io.

Altro personaggio estremamente interessante è Eloise Bridgerton, migliore amica d Penelope e sorella di Daphne; a differenza sua, Eloise non è minimamente interessata ai ragazzi, al matrimonio, alle piume, agli abiti da cerimonia e ai balli. Le piacciono i libri, la cultura, la scrittura, una vita indipendente da nubile, e ringrazia addirittura la sorella per essere così perfetta, sollevandola dal dovere di esserlo lei stessa.

Folle, a prima vista.

Il suo scopo è risolvere un mistero che ci tiene con il fiato sospeso per tutte le otto puntate: chi è Lady Whistledown, narratrice impunita di tutti gli scandali e le delizie che si susseguono giorno dopo giorno?

La sua penna non risparmia nessuno, e tutti avrebbero, non solo, un buon motivo per essere tale donna, ma anche per avercela con lei, per la leggerezza con cui tratta questioni di importanza cruciale per qualsiasi persona la legga.

E poi ci sono scommesse, incontri di pugilato, incontri clandestini, nudi artistici, tradimenti, debiti e tanti lustrini, sorrisi e gonne lunghe a coprire questo spaccato di umanità.

Forse è questo il semplice, quanto sfolgorante successo della serie: portare in scena, senza pudore, i segreti e le paure che viviamo anche noi quotidianamente, e che non hanno niente di speciale, o di esclusivo, da confinare nell’Ottocento.

Possiamo quindi chiudere gli occhi, indossare nuovamente i nostri abiti, e riaprirli contemplando la nostra realtà: abbiamo tutti l’amica innamorata di un uomo che la riempie di promesse, ma che poi, nei fatti, sceglie sempre per il proprio tornaconto.

O l’amico tanto bello, quanto stronzo, che non è in grado di volere qualcosa di più da una donna, e da se stesso, che non sia il mero piacere della seduzione.

O la conoscente della cugina, che sceglie la convenienza come alternativa alla solitudine.

E non siamo stati noi stessi quella persona insicura, che non riusciva a prendersi ciò che voleva, anche se era a portata di coraggio?

Non esistono ancora tante famiglie che preferiscono mettere a tacere le tragedie che si consumano in salotto dietro l’apparenza di un abusato “Erano così uniti, non si sentivano mai!”?

Oppure donne, o uomini, che non si rassegnano al loro destino già scritto, e tentano a tutti i costi di piegarlo, di spezzarlo, per riscriverne uno del tutto nuovo, rischioso ma desiderato?

E siamo state anche molto gelose, o fiere, di quell’amica che, con tanta pazienza, è riuscita a bucare la corazza emotiva del suo uomo, chiedendoci perché noi non siamo dotate di tanta forza d’animo (se così, sempre, si può chiamare).

Ovviamente tutto ciò che ho scritto vale sia per gli uomini sia per le donne: nella serie tv in questione è la donna che sembra dover fare un passo verso l’uomo perché costui, nell’Ottocento, era forse più libero.

Insomma, la serie è ben fatta, si presta finemente al binge watching, e le scelte “stilistiche” di Shonda Rhimes, come sempre, non hanno deluso.

Impegnativo ma non troppo; molto piacevole alla vista. Non lascia, tuttavia, il segno. Ci sarà un seguito, lo aspetteremo con ansia. Ma non troppa.

2 commenti Aggiungi il tuo

  1. ugologu ha detto:

    spoileratrice 🙂 🙂 🙂
    e…torni sulle apparenze,su quello che gli altri vogliono vedere.
    Ti ha infastidito tanto questa pressione eh?

    Piace a 1 persona

    1. ailuig91 ha detto:

      Più di quel che…sembra🤫😄

      "Mi piace"

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