Non avrei mai voluto arrivare a questo livello, ma purtroppo la natura umana è imprevedibile, e anche le cose che uno si impone tassativamente di non fare, perché non condivide, poi, alla fine, le fa.
Ed ecco che, avendo Netflix sulla tv, e avendo ripristinato una connessione wi-fi funzionante, sto iniziando a trascorrere le mie notti a guardare serie tv.
E quindi stavolta è il turno di “You”. Che ho iniziato ieri notte, e sono appena alla sesta puntata, ma non riesco ad aspettare di vedere tutte le due stagioni prima di scrivere qualcosa al riguardo.
E sì, so che sono tremendamente in ritardo rispetto alla visione di queste serie, ma tant’è. Mi sono opposta finché ho potuto, poi la vita si è messa in mezzo e mi sono lasciata andare anche io a questo modello di fruizione di cultura e di impiego alternativo del tempo notturno.
Dunque, You è tutto ciò che una persona teme e desidera allo stesso momento.
È la storia di una ragazza, Guinevere Beck, un’aspirante scrittrice, che è alla ricerca di se stessa. Con un padre tossico, in tutti i sensi, tossicodipendente che lei stessa, da piccola, ha trovato in cantina in overdose, con una siringa piantata nel braccio; che poi sceglie di costruire una nuova famiglia con un’altra donna, che ha già due figli, limitandosi ad essere per lei solo un Bancomat.
Beck è una bella ragazza, bloccata nella scrittura, che ha difficoltà ad amarsi. Accetta svariate forme di amore che non le stanno bene, in particolare da parte del padre, e poi è una catena senza fine: vive una vita che non può permettersi, frequenta amiche un po’ superficiali, fa da assistente ad un professore che è interessato più alle sue grazie che alla sua scrittura, ha rapporti occasionali con uomini che la usano unicamente per fare sesso, e lei neanche prova piacere, perchè è alla ricerca di qualcosa di più.
L’incipit è chiaro, la sua insicurezza la porta continuamente ad indugiare su situazioni disadattive e svilenti; penso che un po’ tutti, guardandola in azione, abbiamo pensato “Ma vattene da lì! – non credergli! – caccialo! – non hai bisogno di questo!” ma, siamo onesti, quanti, nella realtà, non si sono comportati almeno una volta come lei, giurando a se stessi che sarebbe stata l’ultima, e l’ultima non è stata mai davvero?
Così Beck entra in una libreria ed incontra Joe, il ragazzo che la gestisce, che sembra leggerla come se, per lui, fosse un libro aperto. È calmo, la guarda dritto negli occhi, le sorride, la chiama per nome, si lascia ammaliare da lei e intanto nutre il suo vuoto con le sue attenzioni intellettuali, non fisiche.
Inizia così un corteggiamento molto silenzioso, che permette a Joe di entrare in punta di piedi nella vita di Beck, che quasi non si accorge di ritrovarsi innamorata di lui.
Se prima aveva una vita totalmente sfasata, Joe sembra ristabilire l’ordine, far sbocciare la scrittrice che c’è in Beck e donare amore ad un’esistenza che non l’ha mai davvero conosciuto.
L’unica che non si fida di lui è Peach, l’amica che si interessa un po’ meno superficialmente di Beck, che l’aiuta economicamente e che le consiglia di amarsi un po’ di più, di puntare più in alto, di non accontentarsi. Che poi lo faccia anche per riempire il suo tempo, il suo vuoto, per una forma di narcisismo per cui continua a tentare ripetutamente il suicidio quando non riesce a vivere bene con se stessa, questo è un altro discorso.
Tornando a Beck e Joe, il loro rapporto inizia piano piano, e davvero noi non ce ne accorgiamo: lei continua a frequentare altri ragazzi, altri stronzi con cui continua a farsi male.
E intanto c’è Joe, che è il bravo ragazzo per eccellenza, quello rispetto a cui hai mille timori perché magari tu vuoi davvero una storia seria, ma hai paura, e quindi ti fai un po’ di problemi, temi che per lui quel corteggiamento possa essere qualcosa di più di una conoscenza, perché al momento tu stai bene nella tua confusione, e l’ordine e la serietà ti spaventano; ti domandi che intenzioni abbia lui, e magari hai anche paura di fargli del male, perché in fondo ti conosci, e sai che attiri tanti stronzi perché sei tu la prima ad essere stronza.
Insomma, in tutto questo processo mentale in cui l’unica a rimetterci è la tua autostima, c’è Joe, che sembra comprenderti, accettarti, che ti sta vicino, che è intraprendente, che non si tira indietro, che non interpreta male i segnali e non si dà mai per vinto.
E quindi tu non puoi non capitolare davanti a lui. E non puoi non lasciar andare tutti i dubbi e le insicurezze, e non lasciare che il suo amore si sostituisca alla tua autostima, che sembra risorgere, e che ti porta a fare, finalmente, le scelte giuste.
Senza chiederti perché lui, una sera a caso, a New York, è proprio nella metropolitana dove sei anche tu, ubriaca e bisognosa di aiuto; o perché, la seconda volta che lo vedi, lui sa che scrivi poesie; oppure non ti accorgi che ti mancano degli indumenti intimi, calzini, slip, canottiere, ma in fondo come puoi accorgertene, sei talmente disordinata che forse neanche tu sai davvero cosa indossi; e ti sembra normalissimo che, dopo un incontro intimo durato veramente troppo poco, te lo ritrovi casualmente ad un festival di Dickens, a km di distanza, proprio mentre sei con tuo padre, ed hai maggior bisogno di sostegno psicologico; ed è anche estremamente lineare il fatto che ti frequenti con Benji, lo stronzo degli stronzi, e ad un certo punto lui scompare letteralmente, e al suo posto entra in scena Joe; o che, ad una festa, incontri un’amica dell’ex di Joe, che esprime il suo turbamento circa la scomparsa improvvisa della ragazza, partita per Roma con il nuovo fidanzato. E neanche importa il fatto che tu non sappia niente di lui, che non siano pervenuti né una famiglia né degli amici.
Nel pilot è Joe stesso che parla di segnali: quelli che non mancano mai, ma che noi ci ostiniamo a non guardare.
Ebbene, la vita di Beck è disseminata di segnali, eppure lei, nonostante le ritrosie e i consigli dell’amica Peach, decide di lanciarsi di testa in questa storia passionale con Joe, che le dà stabilità, che la rende felice, che le fa bene. Con cui crea una quotidianità che, giorno dopo giorno, non stanca mai.
Joe è il ragazzo perfetto, e dopo tanti timori e ripensamenti, puoi arrivare anche a pensare “Cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?”
Infatti, che hai fatto? Non hai guardato i segnali.
Joe è uno psicopatico: la segue ovunque, si apposta sotto la finestra di casa sua, la guarda fare sesso con altri uomini, la guarda soffrire, piangere, masturbarsi, la guarda scrivere, la guarda vivere. Con una scusa, entra in casa sua e le guarda il pc, per scoprire i suoi movimenti e i suoi gusti, quando la salva in metropolitana le ruba il telefono per controllarla, sequestra Benji, perché lei è troppo presa da questo stronzo per accorgersi di lui, e nella sua testa, eliminato questo ostacolo, potranno amarsi follemente. E quindi lo uccide anche, arrivando a postare foto di lui in giro per il mondo per non creare sospetti (ma io mi chiedo: e gli amici e i colleghi di lavoro non si chiedono che fine ha fatto questo, che è scomparso all’improvviso?); e aggredisce Peach, l’amica troppo curiosa, troppo egocentrica, che vuole stare troppo in mezzo.
Forse, il primo vero segnale che nessuno dei due coglie, è proprio il fatto che Beck non accetti il suo nome. Il vero incipit della storia e di tutti i problemi che in essa si sviluppano.
A Beck piace essere guardata. E Joe la asseconda. E a lei questo basta.
Ecco il punto: lei non guarda. E lui guarda troppo.
Ma in realtà neanche lui guarda veramente, vuole solo avere tutto sotto controllo. Vuole direzionare sentimenti e situazioni in modo da avere ragione, particolarmente, in modo da non guardare se stesso, e il suo bisogno di attenzioni e i suoi problemi.
La situazione tra i due, all’inizio un po’ tesa, si scioglie definitivamente quando lui, dopo un pranzo tragico con lei, il padre e la nuova famiglia, le parla del suo complesso paterno. E se, sulle prime, lei lo allontana (perché va bene tutto, ma chi permette al primo sconosciuto di dirci che abbiamo un problema?), poi lo riavvicina proprio per questo motivo: “Si dice che le ragazze con un complesso paterno siano molto brave a letto!”
Ecco, prima o poi qualcuno dovrà parlare seriamente della fatica di essere bravi a letto, e ancora di più dell’avere un complesso paterno. E di come queste cose, a volte, siano davvero correlate.
Queste prime puntate che ho visto mi sembra che parlino proprio di questa difficoltà: di guardare se stessi al di là di ciò che ci dicono gli altri.
Perché per tutti è molto facile dirci cosa abbiamo, cosa dovremmo fare, cosa sarebbe meglio per noi.
La verità è che è davvero molto difficile aprire gli occhi e guardare i segnali.
E nella serie, come spesso anche nella vita, si vede tutto, eccetto i segnali, che pure sono disseminati ovunque.