C’è un nemico silenzioso che minaccia le nostre vite da quasi due anni ormai.
Aleggia nell’aria inafferrabile, e per quanto ci sforziamo di combatterlo, lui anticipa ogni nostra mossa.
Ci guarda dagli occhi degli altri, ci accarezza attraverso le mani che stringiamo, e respira il nostro odore negli abbracci in cui ci riscaldiamo.
È il Covid, quel nemico da cui siamo in guardia da circa due anni.
E ora è nel mio corpo.
Il nemico è dentro di me, e io non posso combatterlo in nessun modo.
All’inizio volevo che mi guardasse in faccia e mi dicesse “Ei, sono qui e voglio invaderti”, così gli avrei risposto “Torna da dove sei arrivato, nemico, qui non c’è posto per te!”
Avremmo combattuto, ci saremmo graffiati, sarebbe stato versato del sangue. Ma avrei potuto confrontarmi con lui, lottare con lui.
E invece è arrivato silenziosamente, senza grandi fragori, senza bisogno di litigi o combattimenti, perchè sapeva di essere comunque più forte di me.
È arrivato attraverso gesti di pace, di piacere, e non ha incontrato mura che gli sbarravano la strada.
E ora, con quelle stesse carezze, sfioro questo nemico invisibile: lo bacio, lo abbraccio, ci dormo insieme, gli stringo la mano.
Mi guardo allo specchio ed è proprio lì, che mi rende lo sguardo.
Cosa c’è da temere, ora che il Covid è in me?
In un secondo, tutta la paura che provavo si è dileguata.
La paura dell’altro, del contatto, la paura di non potermi lavare in tempo le mani dopo aver toccato qualcosa al supermercato, o dopo essere stata in autobus.
La paura di entrare in un bar per prendere un caffè, vedendo il Covid negli occhi di tutti quelli che mi circondano.
PUFF, tutto svanito.
E questo nemico infesta la mia testa, il mio torace e la mia pancia; a volte mi rende debole, a volte non riesco ad alzarmi dal letto, spesso non ho fame.
Ora che il Covid è dentro di me, dovrei avere paura di me stessa. Eppure sento solo gentilezza verso le iniziative in cui il mio cervello decide di imbattersi; verso le emozioni che tracimano dal mio cuore.
E in questi giorni succede anche altro: la mia dimensione individuale della malattia si sta incontrando con la dimensione collettiva in cui mi trovo in questo momento.
Non sono a casa mia, non ho i miei spazi, non c’è la familiarità a cui sono abituata.
Sono a casa di Simone, che l’ha passato a me, e sono con lui e i suoi genitori.
Lui ha fatto entrare il Covid dentro di me, ed io sono entrata nella sua vita, nella sua casa. Sono piombata all’improvviso nelle abitudini di una famiglia non mia.
Condividiamo, tutti e quattro positivi, gli spazi, il cibo, i momenti di pausa, quelli di agitazione.
In questa casa c’è posto per la paura e per la gioia. Per il coraggio e per la fragilità.
Il Covid irrompe nelle nostre vite senza preavviso, e le nostre vite si mischiano. Il silenzio di uno si accompagna a quello di un altro. Quattro silenzi nello stesso salotto, interrotti dal suono della musica.
C’è Sting su Youtube che canta “You can tell the sun in his jealous sky when we walked in fields of gold”.
Dopo aver provato la solitudine dei precedenti lockdown, ora sperimento la compagnia.
Io che non sono più abituata ad una mamma e ad un papà sotto lo stesso tetto, e che lotto per ritagliarmi i miei spazi di libertà rispetto a chiunque, in questi giorni che sono più vulnerabile non sono sola.
E non perchè sono in compagnia di altre tre persone; ma perchè, dopo tanto tempo, la condivisione e la solitudine non sono più scelte obbligate.
E mi fa ridere pensare che ho capito questa cosa perchè il Covid, quel nemico invisibile che non ho potuto scegliere di combattere, è, nonostante tante precauzioni, dentro di me.