Wherever you will go

Martedì 31 Gennaio 2023, h. 19.55.

Sono in via Gioberti, appena dietro la stazione Termini a Roma. Sto per attraversare la strada quando nelle cuffiette che ho alle orecchie parte “Wherever you will go” dei The Calling. È un attimo: un bagliore di felicità illumina la mia mente. In questa gioia istantanea penso “Meno male che esistono le canzoni, che qualcuno prima di me ha provato certe sensazioni e ne ha fatto arte”.

Sono molto grata ai The Calling per questo brano, che mi è stato sempre abbastanza indifferente. Stasera, invece, nonriesco a non farmi trasportare da quel ritmo, dalla melodia a tratti incalzante a tratti lieve.

h. 23.00

Ormai sono già passate delle ore da quando ero in via Gioberti ma continuo ad aver bisogno di ascoltare questa canzone per riabbracciare quel flusso di pensieri e sensazioni che la musica mi ha suscitato e che, nel frattempo, ho lasciato su quella strada che stavo attraversando.

Spesso vorrei che ci fosse una canzone anche per descrivere quello che provo nel sentire una canzone, in modo da non dover fare lo sforzo di pensarlo. Vorrei averlo davanti agli occhi, avere subito a disposizione una parola che descriva questa malinconia felice, la nostalgia delle parole che si perdono nel mio cuore e non fanno in tempo ad arrivare alle mani e infine sulla carta che già sono fuggite via.

Oggi, invece, le parole tracimano dal petto sulle note di questo brano: quel bagliore di felicità che ha illuminato la mia mente ha prodotto innumerevoli immagini che in quell’istante mi hanno dato il tormento. Ora la strada è lontana e io sono nel mio letto, stesa a pancia in giù a scrivere con la canzone in ripetizione automatica. Più la sento e più riesco a vedere chiaramente cosa c’è in me.

Come spesso accade, le canzoni sono solo uno degli strumenti con cui, nella vita, facciamo vibrare le corde scordate dell’anima, anche quando il testo non ha a che fare con ciò che stiamo vivendo in quel momento. Mentre ascoltavo questo brano infatti stavo andando a fare volontariato.

L’appuntamento è il martedì alle 20.00 alla Basilica Papale di Santa Maria Maggiore. Gli altri ragazzi e io ci vediamo lì e poi ci dividiamo in tre gruppi per portare cibo a chi vive per strada. A volte lasciamo coperte, abiti, scarpe, altre volte invece queste persone non hanno bisogno di niente e allora ci scambiamo sorrisi, oppure restiamo ad ascoltare i loro bisogni o le storie dei loro affetti, lontani nel tempo e nello spazio.

Faccio questa cosa da un anno, non sono stata sempre molto costante, ma il martedì è un giorno sacro per questo appuntamento (e anche perché c’è #ilmartedidelleparole della Stefi Andreoli su Ig). È uno di quei pilastri incrollabili, a prescindere da quello che succede nella mia vita, so che il martedì c’è volontariato. Qualsiasi sia la mia difficoltà, la mia stanchezza o il dolore che mi impedisce di vivere serenamente nelle altre ore del giorno, questa occasione mi dà forza.

Si parla tanto del volontariato, di aiutare chi è in difficoltà, ma quanto queste persone aiutano noi? A me fa bene il solo fatto di esserci: di impiegare il mio tempo in questa esperienza, di riservare spazio a persone che ne occupano uno minuscolo in questa città così immensa.

Fare volontariato significa avere a che fare con l’altra faccia dell’umanità: quella a cui non ti avvicini, che non vorresti vedere. Quella di cui ti dimentichi perché è ai margini di tutto, lì dove non può disturbare nessuno. Ma fare volontariato significa anche dare senza volere niente indietro e, tuttavia, ricevere comunque qualcosa che cambia a seconda delle persone.

Per me è la possibilità di entrare in risonanza con gli altri volontari e con chi è per strada: fare esperienza di prossimità e vicinanza (altro che distanza sociale!), abbattere il muro della paura di ciò che è diverso e ignoto per me è un’esperienza di profondo affidamento e amore verso il mio istinto.

Quando rientro a casa il martedì penso che ci siamo aiutati tutti a vicenda e questo mi basta per trovare, seppur per poco, un senso che spesso nella quotidianità mi sfugge.

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