Fantasie di inizio maggio

Oggi sono frenetica. Il nervosismo mi attraversa le vene e risale per tutto il corpo. È ormai una settimana che sono chiusa in casa a causa di un’ernia del disco che mi ha infiammato il nervo sciatico. Tra dolori e formicolii alla gamba destra, ho difficoltà a stare in piedi e a volte le scosse di dolore sono così intense che mi manca il respiro. Sto anche prendendo il cortisone e un altro farmaco per sfiammare il nervo sciatico, che ho dovuto sospendere perché mi ha dato prurito per tutto il busto. Mi trovo insomma ad abitare uno spazio molto ristretto, in un corpo che non funziona, che non risponde alle mie necessità, e non mi asseconda nelle cose che vorrei fare.

Le mie condizioni di salute, tuttavia, sono solo una premessa: si tratta di una semplice istantanea che rappresenta la mia vita in questo preciso momento. Bloccata in camera, anzi proprio nel letto, sulla mia destra lascio la finestra spalancata per far entrare aria e un po’ di normalità, concetto che nell’ultima settimana ha subito vari ritocchi.

Oggi il tempo è indeciso. Il cielo è coperto di nuvoloni grigi, non si vede un raggio di sole per km e fa fresco. Le tende si muovono dolcemente, incalzate da un respiro di vento che le fa vibrare, gonfiare e sgonfiare a ritmo regolare. Io, in realtà, ho caldissimo. Penso che sia il mio corpo che si sta ribellando a tutto il cortisone che sto prendendo, infatti sono due giorni che continuo a sudare da ferma, senza che ce ne sia una necessità oggettiva.

Il tempo, dicevo, è indeciso. Sono ore che sta per piovere, eppure non c’è odore di pioggia nell’aria. Tutto fa pensare che il cielo non voglia affrontare lo sforzo della pioggia, che preferisca rimanere intrappolato tra queste nuvole bianche e grigie senza sbilanciarsi. Accomodato in una stasi senza tempo, che potrebbe durare un’ora o tutta la settimana.

E allora, senza stare ad aspettare le decisioni del tempo, oggi sarebbe la giornata ideale per fare un paio di quelle cose che a me piacciono tanto tanto: prendere un libro, due libri, un diario per gli appunti, una penna e una matita e raggiungere Parco degli Acquedotti, una delle mie ville preferite di Roma. Qui, passeggiando su stretti sentieri circondati da spighe di grano e pietre, trovare un arco o un albero sotto cui ripararmi e leggere.

Ho fatto una cosa del genere proprio l’anno scorso: era il primo lunedì di febbraio e avevo appena deciso di non accettare il rinnovo di un tirocinio in un posto di lavoro che non mi piaceva. Dopo aver comunicato la mia decisione ai colleghi e al responsabile, sono andata a Parco degli Acquedotti e ho parlato sotto un albero con una mia amica per un’oretta. All’epoca il cielo aveva proprio questo aspetto, ma l’odore di pioggia era molto più forte e tenace e i rumori stessi del temporale erano in agguato. Sono rimasta lì ad aspettare la pioggia, con mille idee che si accumulavano nel cervello, progetti, propositi, intenzioni che solleticavano la mia fantasia. Pensieri con cui iniziare pian piano a prendere confidenza, immagini in bianco e nero, ossature di possibili vite cui dare colore e un futuro. E con questo dolce trambusto interno, ho iniziato a leggere un libro finché la pioggia non mi ha sorpreso proprio lì, nel posto e nel momento in cui la stavo aspettando.

Ecco.

Oggi è proprio una giornata in cui aspetterei la pioggia a Parco degli Acquedotti. E se la pioggia non arrivasse, non avrei comunque aspettato invano perché in verità vorrei solo muovermi verso quello che voglio, fare la mia parte per raggiungerlo, sapendo che ottenerlo non dipende solo da me.

Questa giornata mi fa anche venire voglia di stare al chiuso: di trovare un bar con tavoli ampi, poltroncine comode in velluto, piante rampicanti che mi sfiorano la pelle, finestre a vetro che danno sulla strada e un bel caffè fumante accompagnato da un tramezzino bruciacchiato. Mi siederei nell’angolo in fondo alla sala, con la schiena rivolta verso le vetrate e il viso immerso dentro il locale: i tavoli sarebbero tanti, ma non tutti pieni. Ci sarebbero abbastanza persone da guardarle, scrutarne gli atteggiamenti, sorridere con loro, scambiarci forse qualche battuta mentre sono al pc a scrivere. Non sarebbero però abbastanza da sentirmi invasa nel mio spazio vitale. Quello di cui devo disporre per rielaborare dentro di me i sorrisi o le lacrime per le scene di cui scrivo o alle quali assisto. Quello in cui mi rifugio quando la mia voglia di socialità si limita a voler essere circondata di persone, senza dover per forza interagire con loro, per il solo desiderio di sentirmi parte del mondo, della realtà al di fuori di me.

L’ultima cosa che vorrei fare in questa giornata così uggiosa e indecisa è andare al cinema. Non un cinema famoso, ma una di quelle salette piccole, un po’ nascoste tra i vicoli delle strade principali. Trovare un film fuori programmazione e scegliere proprio lui per arricchire le ore successive della mia giornata. Sedermi su poltrone rosse e vecchie che reggono il mio peso come hanno fatto con i corpi di chi c’è passato prima di me. Essere avvolta nel buio della sala un attimo prima che si accenda lo schermo e parta il film. Scivolare dentro la storia proiettata nello schermo fino a sentirmene parte, amica o nemica delle persone che la stanno vivendo, ma mantenendo sempre un po’ di distacco perché, d’altronde, quella non è la mia vita, non sono le mie scelte e non sono le strade che sto percorrendo.

Incontrare infine persone con cui confrontarmi sulla pellicola: sconosciuti che, come me, sono soli al cinema per rubare alla vita che scorre veloce fuori dalla sala un paio di ore di solitudine, in compagnia solo dei propri pensieri. E con loro parlare del film, degli attori, del finale proposto e di quello che avremmo preferito noi, fino ad intrecciare questi discorsi con la vita reale. Persone sconosciute, che rimarranno sicuramente tali per il resto della vita, ma cui con condividere un momento di fugace ed intensa condivisione disinteressata, per il gusto di incontrarsi. Di uscire dal proprio involucro e avvicinarsi a qualcuno mantenendo intatti i propri confini.

Sono queste le suggestioni che oggi girovagano come nubi ondivaghe dentro la mia stanza. Come sogni belli che la memoria del mattino cerca di trattenere per colorare il giorno.

 

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