Se potessi, vivrei dalle 12 pm in poi. Le prime ore della mattina le eliminerei molto volentieri.
Non mi sono mai abituata alla campanella della scuola delle 8.00, sebbene sia stata la mia routine per 13 anni, e ovviamente, non ho ancora superato il trauma. All’università avevo deciso che, salvo qualche corso con frequenza obbligatoria, nulla valeva una sveglia prima delle 9/9.30. Poi mi sono resa conto che tante cose bellissime accadono anche prima di quest’orario, e che dovevo smetterla di sabotare la mia vita a causa della pigrizia (riflessione ancora molto attuale e valida non solo per la pigrizia fisica, ma intesa in senso più ampio, non ultimo quella mentale).
Anche se, lo ammetto, non mi alzo mai ben volentieri presto, infatti una vocina mi ronza sempre nella testa chiedendosi quali gravi colpe io debba espiare a 28 anni per meritarmi questo sacrificio.
Tuttavia, ieri mi sono svegliata alle 6.38 (in realtà per l’ansia di non sentire la sveglia ho aperto gli occhi alle 4.38 e non li ho più richiusi finché Bam Bam Twist non ha riempito il silenzio della mia camera assicurandomi che non l’avrei sentita solo se fossi accidentalmente morta nel sonno) per andare sul Monte Meta, in provincia di Frosinone, con un’associazione chiamata Itinarrando, che organizza escursioni con guida Aigae, cammini, visite guidate nelle città, non solo nelle zone limitrofe, Lazio e Abruzzo principalmente, ma anche fuori dai confini di queste regioni. Insomma, è stata una giornata meravigliosa.
Stare a contatto con la natura è, insieme, una sfida ma anche rigenerante, aiuta il cervello a distrarsi e soprattutto è una carica di autostima non indifferente, perchè sei tu con i tuoi limiti e non puoi non superarli, altrimenti rimani indietro e non ti godi lo spettacolo di una conquista (che sia una cima, un paesaggio, una paura vinta, un sé ritrovato dopo essersi perso chissà dove). Di una sicurezza in più da utilizzare come scudo quando, a volte capita, lo sconforto prende il sopravvento.
Comunque, ciò che voglio esprimere oggi è innanzitutto la gratitudine verso la Ferrero che ha fatto i Nutella Biscuits, che sto mangiando mentre scrivo quest’articolo dopo aver lasciato polmoni, cuore, gambe e braccia in piscina in un’ora di nuoto, e altrettanta gratitudine per il cinema italiano che ha prodotto un film che non saprei dire davvero quanto mi è piaciuto.
AVVISO: SPOILER
Si tratta di “Lacci”, uscito ieri nelle sale. Non contenta della bellissima escursione, ieri sera ho preso la macchina e sono andata al cinema a vedere questo film. Mentre guidavo verso Formia mi sono resa conto che stavo scappando da qualcosa che mi aveva fatto tremendamente male e che non riuscivo ad affrontare. Ma vedere quel film è stato come buttarmi di testa nella situazione da cui avevo provato a scappare, trovandomi quelle emozioni così forti e destabilizzanti ovunque, intorno e dentro di me.
Non voglio parlare del film da un punto di vista scenografico, o della recitazione degli attori (per esempio la protagonista, Alba Rohrwacher, non mi è piaciuta affatto, l’ho trovata inespressiva, monotona e monotòna, anzi, la sua interpretazione mi ha davvero infastidito, a differenza della sua versione anziana, interpretata da Laura Morante, che ho trovato strepitosa!), voglio piuttosto soffermarmi sul significato della storia. O almeno esprimere ciò che ha risuonato dentro di me, oltre alle lacrime e alle risate che ne hanno accompagnato la visione.
Già il titolo, Lacci, è molto evocativo. Si parla di una famiglia giovane, marito e moglie trentenni con due bimbi piccoli, che vivono a Napoli negli anni Ottanta. Il marito, Aldo, tradisce la moglie, Vanda, con una ragazza più giovane, Lidia, scatenando un dramma familiare rappresentato dall’incapacità di lasciar andare.
Appena ho visto la pubblicità del film sapevo che mi sarebbe piaciuta la tematica, e non vedevo l’ora che arrivasse il 30 settembre, ma devo ammettere che mentre ero al cinema ho letto la trama di un altro film, “Endless”, sulla storia d’amore tra due ragazzi che finisce perchè lui muore in un incidente stradale, poi vabbè succedono cose (che non so perchè non ho visto il film) e la morale è che nella vita bisogna imparare a lasciar andare.
O, come direbbe Carlotta (alias Anna Foglietta) in “Perfetti sconosciuti” (altro film italiano eccezionale secondo me), “Bisogna imparare a lasciarsi”.
In ogni caso, avevo addirittura chiesto di scambiare il biglietto di Lacci per quello di Endless, ma per fortuna questo era già iniziato. E sono andata, inesorabilmente, incontro a quelle emozioni così tanto temute.
La prima riflessione che mi viene da fare riguarda il possesso. Secondo me è il liet motiv del film: marito, moglie e figli si possiedono, perdendo la propria individualità per fondersi in un nucleo unico chiamato famiglia. A rafforzare l’idea ci sono sicuramente la cultura degli anni Ottanta e il luogo in cui la storia è narrata.
Vanda è presentata come una donna che crede nel matrimonio e in suo marito. Ma forse di più nel matrimonio. E affatto in se stessa. Quando l’uomo le confessa il proprio tradimento, lei non ha alcuna reazione, per poi dirgli che, se era una cosa di poca importanza, lui non doveva dirgliela. Per poi cacciarlo di casa e tentare in tutti i modi di riprenderlo, arrivando addirittura a minacciarlo, davanti ai figli, di imprigionarlo chiudendo la porta a chiave.
Ma procediamo per piccoli passi. Ho apprezzato molto una battuta di Vanda in cui, per convincere Aldo a tornare, gli dice che lei ha lasciato tutto, famiglia e amici, per seguirlo a Napoli. E lui che fa? Se ne va con un’altra. Non sto inneggiando alla deresponsabilizzazione delle coppie, e che alla prima difficoltà sia giusto lasciarsi. Ma lui le dice che ha preferito andarsene per non soffocare piuttosto che evitare che fosse lei a soffocare.
Non è facile stare in una coppia. Si prendono due persone, due complessità, due emotività e si fanno camminare mano nella mano. E non è detto che l’amore basti affinché questi nuclei distinti possano essere in sintonia. Tuttavia tutto il film è basato sull’idea di un amore che serve per compensare i propri vuoti, e sull’addossare all’altro la colpa della propria infelicità. Infelicità di persona, non di parte di una coppia.
Emblematico è il discorso che Vanda fa ad Aldo per convincerlo a tornare a casa “Devi essere leale al giuramento fatto anni fa, ce lo siamo promessi, e ora tu devi rispettarlo, a meno che tu non ti sia innamorato. Se ti sei innamorato, è un altro discorso, dillo subito e salvi tutti quanti”. Come se il cambiamento dovesse dipendere da un fatto esterno alla semplice volontà personale; come se, in questo modo, fosse più semplice trovarvi un senso.
Come se il matrimonio, la famiglia, fosse un modo per salvare se stesso dall’oblio, da un profondo esame di coscienza, e dalla profonda sofferenza che richiede il mettersi in dubbio, il voler cambiare parti di sè che non piacciono.
Quest’idea di possesso è ben rappresentata anche dal padre, all’inizio del film, che dice alla figlia Anna di farsi la coda (nonostante lei replichi che non le piace portare i capelli legati) perchè a lui piace così.
Quest’idea che i figli siano nostri, e possiamo farne ciò che vogliamo, a prescindere dalla loro volontà; che possiamo imporre loro i nostri gusti, le nostre aspettative, che possiamo caricarli di tutte le nostre frustrazioni, genera in loro (in noi, perchè io sono ancora figlia, non ancora genitore) l’idea, altrettanto sbagliata, che i genitori siano nostri. Che la loro vita inizi e finisca con noi, che non abbiano una propria identità a prescindere dalla famiglia. Che bisogna essere leali alla famiglia, e non a se stessi.
Infatti Vanda, totalmente incapace di provvedere a se stessa, al proprio benessere, interpretando alla perfezione il clichè della donna tradita per una più giovane, nonchè della donna totalmente dipendente, non fa che rendere i figli partecipi delle sue discussioni con Aldo, del suo dramma personale, della sua incapacità di scindere il ruolo di marito e di padre (non risparmia loro neanche il dolore di vederli discutere e menarsi per strada a Roma, davanti all’amante).
Aldo, in fondo, ha lasciato Vanda, non anche i figli. O almeno così sembra, all’inizio. Perchè è vero che la moglie è incapace di stare sola, ed ha bisogno di qualcuno (l’ex marito o i figli) per sfogare la propria frustrazione, ma da parte sua, Aldo, ad un certo punto, sembra dimenticare completamente le proprie responsabilità di padre, abbagliato dalla nuova vita con l’amante più giovane. Nel timore che Lidia non lo accetti, inizia a non vedere più i figli, trascurando le sue responsabilità di genitore, dimenticandosi totalmente di essere un padre. Della serie: se la mia relazione finisce è colpa dei miei figli, quindi, per non farla finire, fingo che non esistono.
La storia si muove su due scenari: Napoli e Roma.
Napoli è la città della famiglia, Roma della relazione extra coniugale. E si respira un’aria completamente diversa. Ogni volta che inquadravano Napoli io mi sentivo soffocare, e ricominciavo a respirare quando l’ambientazione si spostava su Roma.
Il film parla di amore. Di relazioni umane. Di debolezze umane. E Aldo, che è speaker radiofonico, dopo essersi trasferito a Roma, fa una riflessione estremamente attuale: la fedeltà ci mantiene protetti, al sicuro in un luogo (la coppia) in cui sai che non può succederti nulla di male. Il tradimento è invece l’anima di un amore concreto, inserito nella realtà, perchè ti espone ai rischi, ti apre a scenari incontrollabili.
Da una parte c’è l’idea della famiglia, del possesso, di una vita che si sa già in che direzione deve andare, senza distrazioni, senza deragliamenti; dall’altra c’è la vita reale, che non è quantificabile, non è programmabile, che può sorprenderti da un momento all’altro, e si può solo avere la fortuna di farsi trovare pronti quando decide di regalarci il brivido dell’imprevedibile.
Da una parte c’è Aldo, che pretende che la figlia si faccia la coda, perchè a lui piace così, come se lei fosse una sua estensione; dall’altra Aldo che dimentica di essere padre per vivere una nuova giovinezza con l’amante.
Da una parte c’è la famiglia, in cui tutto è protetto e non può succedere nulla di male; dall’altra c’è la famiglia in cui va in scena giornalmente il dramma dell’insicurezza, della rottura degli equilibri, della frantumazione di quella protezione promessa.
Da una parte c’è Vanda, una madre accudente, attenta alle esigenze dei figli, che sembra disposta a tutto pur di mantenere unita la famiglia; dall’altra c’è Vanda che espone i figli alla propria sofferenza di donna e moglie tradita, che viene meno a quella promessa, implicita, di tutelare i figli dai dolori e dalle bruttezze del mondo, della vita.
Un comportamento simile genera una confusione e un dolore non indifferente in quei figli. Perchè vedono sgretolarsi, senza possibilità di rimetterlo insieme, quell’unico mondo fatato (assolutamente irreale) che i genitori hanno costruito per loro, e in cui pretendono di farli vivere. E sono proprio quegli stessi genitori che lo frantumano, privando di ogni sicurezza i figli, che sono prima di tutto delle persone.
Tant’è vero che la figlia, Anna, sembra inizialmente soffrire di anoressia, per poi ritrovarsi, trent’anni dopo, grassa, single, senza figli e senza pretesa alcuna di mettere su famiglia. Mentre Sandro, il fratello, con tre figli da due donne diverse, alla ricerca di una figura femminile che lo schiavizzi.
In questo scenario si inserisce Lidia, l’amante. Che io, personalmente, ho amato alla follia. Oltre a ritrovarmi completamente in lei, nel suo modo di ragionare (non che io sia mai stata un’amante), è anche bellissima e indipendente.
Lidia è più giovane di Aldo, ed è di Roma, e già questi elementi, secondo me, incidono sugli aspetti culturali ed educativi che portano alla formazione della sua personalità. Lidia non solo è serena e spensierata, ma accetta i figli di Aldo, scherza e si sa far amare da loro, incoraggiandolo lei stessa a frequentarli. Quando poi si rende conto che lui è disorientato da quando ha ripreso i contatti con l’ex famiglia (passa infatti tutti i weekend a Napoli nella sua vecchia casa, mette a dormire i figli dopo aver visto la tv con loro, parla e ride con la ex moglie come se non ci fosse stata alcuna crisi), lo invita a riflettere sui suoi sentimenti (ed io l’ho amata quando gli dice “Questa cosa la stai dicendo a me o a te?” oppure “Non ti sto chiedendo di dirlo a me, ma di dirtelo, di prenderne atto” sicuramente le parole non sono proprio testuali, ma rendono il concetto; e chi mi conosce sa benissimo che queste sono parole mie, mi rappresentano benissimo!), pur sapendo che questo significa perderlo.
Lidia per me rappresenta la libertà, una boccata d’aria fresca in mezzo a quel contesto opprimente. La libertà non solo di respirare, ma anche di essere leali con se stessi, perchè è vero che lei è l’amante, e non dovrebbe pretendere nulla da un uomo sposato con due figli, tuttavia lei non lo pone davanti ad una scelta drastica, non lo assilla con nessun bisogno, non lo manipola scaricandogli la sua incapacità di essere felice senza un uomo, ma lascia che sia lui a seguire i suoi sentimenti. Per assurdo, alla fine, è lei che viene lasciata perchè lui si sente in colpa nei confronti della famiglia.
Famiglia che è immediatamente disposta a riprenderselo. Di fatti Vanda non perde tempo a riaccoglierlo in casa, a dormire nuovamente nel letto con lui, a patto che non si pronunci più il nome “Lidia”, come se fosse stata lei il problema più grande tra i due.
Una storia, la loro, che continua fino alla vecchiaia. Non una storia bella. Tormentata, fatta di silenzi, di ipocrisia, di recriminazioni, di colpe addossate sull’altro. La storia di due solitudini troppo sole per poter stare davvero da sole, per sapersi curare. Due solitudini bisognose dell’altro per poter sopportare il peso di essere se stessi, per dimenticarsene. Marito e moglie che stanno insieme pur di non stare da soli, legati solo per tollerare e rinfacciarsi la propria incapacità di essere felici.
E i figli? Come sempre, sono i figli che svelano quelle carte che i genitori tentano di coprire, ma che poi così coperte non sono mai davvero. Anna (interpretata da una Giovanna Mezzogiorno da paura!) fa una riflessione molto bella “Quando rompi qualcosa, devi avere il coraggio di assumertene la responsabilità fino in fondo, e papà questo non l’ha fatto”.
Vorrei fare una riflessione anche sul senso di colpa, ma la rimanderò ad un altro momento!
I figli, comunque, sono due bei personaggi, sin da piccoli. Anna, la più grande, non vuole assistere mai alle discussioni tra gli adulti, chiedendo sempre di andare in un’altra stanza con il fratello. E si dissocia da quel contesto familiare quando inizia a nutrire sentimenti di forte ammirazione nei confronti di Lidia, arrivando a desiderare di essere come lei, e non come la madre. Anna, da adulta, ha i capelli corti, impossibili da raccogliere in una coda, come desiderava il padre. Anna non ha un uomo, non ha figli. Conduce una vita totalmente diversa da quella della madre.
Come sempre, i figli interiorizzano gli esempi genitoriali, e loro compito è quello di rivelarne tutte le crepe, nel modo più doloroso (e anche crudele) possibile.
Saranno infatti Anna e Sandro a far scoprire alla madre che il nome del suo gatto, Labes (diminutivo di la bestia di casa) in latino significa “rovina, condanna, sciagura”, nonchè le foto di Lidia, nuda, che Aldo ha custodito segretamente per tanti anni, portando i genitori al primo vero dialogo sincero e spietato di tutto il film.
La crisi della famiglia è in realtà la crisi dell’essere umano, della società in cui vive, dei modelli disfunzionali che assorbe, della solitudine da cui tentiamo incessantemente di scappare, ma che ci inghiotte più noi proviamo a seminarla. Perchè, diciamocelo chiaramente. la storia proposta nel film è di un’attualità spaventosa. Facciamo grandi progressi con la ricerca, la scienza, l’ingegneria, la meccanica, andiamo nello spazio; ma ci occupiamo davvero della nostra crescita psicologica?
Insomma ho amato questo film, ho odiato Vanda, e Alba che la interpretava, ho amato pensare tutte le cose che ho scritto, e mille altre che ho in testa, ma che sono ancora un po’ confuse, ho amato andare da sola a vedere questo film ed essere in sala con una coppia, adulta, che si è sbaciucchiata per un sacco di tempo! In realtà dimostro di essere molto più dura di come effettivamente sono, e le cose romantiche mi fanno sciogliere come un pupazzo di neve al sole.
Al riguardo, mi fa sorridere tantissimo che, secondo un articolo di Vanity Fair, che smaschera i match perfetti tra segni zodiacali (articolo tarocchissimo, perchè dice che il Sagittario sta bene con l’Ariete, ma l’Ariete sta con l’Acquario <???>), il Capricorno (cioè il mio segno) non è accoppiato con nessuno, e nell’elenco, al numero 10 (come il posto del segno nello Zodiaco) c’è scritto solo “Ariete: non uscite con un Capricorno” (ma l’Ariete non stava già benissimo con l’Acquario?!). Di seguito il link all’articolo, così se siete curiosi di sapere se il vostro partner è la vostra anima gemella anche per lo Zodiaco, potete scoprirlo, e se non lo fosse, avete un motivo più che valido per lasciarlo! https://l.facebook.com/l.php?u=https%3A%2F%2Fwww.vanityfair.it%2Fbenessere%2Fsesso%2F2017%2F12%2F24%2Famore-12-match-dello-zodiaco-che-funzionano%3Futm_source%3Dfacebook%26utm_medium%3Dcpc%26utm_campaign%3DBenessere_PPA-12-match-oroscopo-funzionano%26fbclid%3DIwAR1qIfCN9plUqICD756svYZjqVI1DjShwV9VpYbLKrmO4QUnDf4xHKBY5Sc&h=AT1VN7N1iuq-hgr2Q8_frgV3qu0OhU7yoizCC7IAgOYxOJILcF3tx6IbdVNmmHSOivJ4FAaaYKGdLVyxkWWh6NLM9FZzN8BRZSZjkTJ0qQ3-tRAyDH_jLiuSQk5yV-xWaVduhg
Di contro, Rob Brezsny mi invita a rimanere ben ancorata a terra, ed informata circa l’attualità e la politica, affinchè la mia salute mentale ed il mio destino personale possano giovarne. Vi lascio anche il link dell’oroscopo Internazionale, che è l’unico che vale davvero la pena leggere: https://www.internazionale.it/oroscopo/1-7-ottobre-2020
Per quanto riguarda gli estratti del film, ci tengo a precisare che le parole non sono testuali, perchè non le ricordo a memoria, ma ho cercato di avvicinarmi il più possibile, sempre mantenendo intatto il senso di ogni discorso.
E che questo è ciò che penso io del film, in particolare del modo di vivere la relazione d’amore per come è stata presentata.
Penso che le famiglie, in generale, non siano perfette, che ognuna trovi il proprio compromesso per sopravvivere alla realtà, ma che alla base di tutto, prima ancora dell’amore, debba esserci il rispetto di se stessi e dell’altro come individuo. Debba esserci leggerezza, tanta, perchè tutto il resto è già difficile; la voglia di impegnarsi sul serio e di assumersi le proprie responsabilità, ricordando che l’altro non ci appartiene. Che nulla ci appartiene in questo mondo, salvo la nostra felicità, che nessuno sarà in grado di darci se non siamo noi a guardarci dentro per capire cosa cerchiamo davvero nell’altro, e cosa invece è necessario trovare prima in noi stessi.
Detto ciò (giuro che non volevo terminare con una riflessione tanto profonda), vi saluto raccontandovi un piccolissimo aneddoto dell’altro ieri: è vero, sono una persona molto controllata, perfezionista e troppo severa con se stessa, è vero che so parlare al contrario, so contare le lettere di una parola o di una frase in pochissimo tempo, e nello stesso sommarle e abbinare il numero ultimo alla lettera dell’alfabeto (cosa che faccio di continuo con le targhe delle auto), ma è vero anche che sono distratta a livelli proprio infantili. Ero al supermercato per comprare il lievito e, pur avendolo davanti agli occhi, ho dovuto chiedere alla commessa di indicarmelo perchè non lo trovavo. Ho visto un punto interrogativo gigantesco sul suo viso, e l’espressione di chi non sa se piangere o ridere. Io, ovviamente, ho riso di gusto perchè ormai la mia distrazione è un’umiliazione alla quale sono abituata.
Anche questo film regala emozioni a non finire: https://wwayne.wordpress.com/2020/06/07/una-brava-persona/. L’hai visto?
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no e a giudicare dalla tua recensione deve essere molto intenso 🙂
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Hai usato un aggettivo perfetto: è un film intenso, e proprio per questo dopo che l’hai visto ti rimane dentro per sempre. Colgo l’occasione per dirti che mi sono appena iscritto al tuo blog. Grazie per la risposta! 🙂
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così sono incuriosita tanto dal film quanto dal finale della tua carriera accademica 🤣
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La mia carriera accademica si è conclusa con la seconda laurea. Ho parlato dei miei anni universitari anche qui: https://wwayne.wordpress.com/2020/09/05/io-e-bianca/
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