Io (non) ho paura

A voi non capita mai di avere paura?

Paura di scoprire che, oltre a tutto ciò che avete imparato ad essere, possa esserci molto di più?

Paura di accontentarvi, di sbattere ripetutamente la testa contro dei limiti, senza comprendere perchè non riuscite a superarli?

Paura di credere talmente tanto nei pregiudizi, su di voi, sulla realtà, sulle persone, pregiudizi talmente accettati e radicati da non essere neanche considerati tali, da perdervi tutto il resto?

Paura che tutta la vita possa esaurirsi in ciò che già conoscete, che avete sperimentato, che non ci sia altro da provare perchè ormai nulla è più in grado di stupirvi?

Voi non avete paura di fare un passo falso, più corto o più lungo rispetto al solito, e rimanere indietro, o andare troppo avanti rispetto agli altri, e osservarli tutti uguali, e sentirvi diversi?

Non avete paura di conoscere il mondo al di là di quello che ci hanno raccontato, o di come ce l’hanno rappresentato? Di scoprire che da soli siete in grado di fare esperienza di qualcosa di più grande, di più profondo e di più vero di ciò che ci è stato insegnato?

Non avete paura, ogni tanto, di mettere in dubbio tutto ciò che sapete e ricominciare da zero, contando solo su di voi, accontentandovi del vostro metro di giudizio, di ciò che sapete per lasciarvi guidare da ciò che non conoscete, ciò di cui volete fare esperienza?

La mia risposta è sì, io ho paura.

Ho paura perchè avevo una vita che andava bene. Che “funzionava”, secondo ciò che gli altri ritengono essere giusto, corretto.

Ma io, in quella vita, non funzionavo proprio. E mi ancoravo alle sicurezze che avevo fuori per paura di guardarmi dentro e scoprire che nulla combaciava con ciò che volevo io.

Ho paura perchè nei miei vagabondaggi, interiori e non, ho scoperto una Giulia e un mondo molto diversi rispetto a quello che ho imparato a conoscere, ad accettare, e ora che sono di nuovo qui, questo mondo non mi basta, e non mi basto io.

Non mi bastano le mie capacità, le cose che voglio fare, che so fare, mi sembra tutto troppo per vivere qui. Mi sembra che tutto ciò che ho fatto fino ad ora si scontri contro una superficie di apparenze, discorsi futili, esigenze fulminee, a nascere e ad essere soddisfatte.

Mi sto scontrando contro un muro di superficialità che c’è sempre stato, ma che ho cercato di aggirare concentrandomi su altro, dando valore a ciò che mi consentiva di distogliere l’attenzione da quello che non andava bene in me.

Ora invece non ho distrazioni qui: sono totalmente immersa nella difficoltà di accettare me stessa e di vivermi in un contesto che, pur cercandolo, non mi dà il sostentamento di cui ho bisogno.

Sono incastrata in questa situazione in cui non sono più io, ma non sono ancora al 100% me stessa, e imputo a me la colpa di non riuscire ad integrarmi, di non sbloccarmi.

Vivo con angoscia il fatto di essere me.

A volte mi innervosisce di più il mio non adeguarmi alla realtà che vedo, e non il fastidio che provo nel non trovare ciò che cerco.

Punto il dito contro di me, contro i miei interessi, contro le mie passioni, contro il mio sentire, che non è mai pari a ciò che mi circonda.

Ed in questo contesto ho paura: di accontentarmi, di sminuirmi pur di sopravvivere, di non darmi spazio, di non prendermi lo spazio che cerco. Di non comprendere neanche quello che voglio.

Perchè alla fine quello che voglio io si infrange rumorosamente contro la realtà che vivo, e i frammenti implodono dentro di me, perchè scopro che non è la realtà a rompersi, ma io. Le mie aspettative. Le mie ambizioni. I miei desideri.

Scopro che la realtà è più forte di quanto possiamo credere di noi stessi, e si presta ad essere un supporto perfetto per tutti quei sogni che si infrangono contro di lei. E da lì a conformarsi con quello che viviamo, a scapito di ciò che sentiamo, è un attimo.

Sono inquieta in questo periodo perchè sto andando in overdose da realtà: quello che vivo è troppo, ed io non ce la faccio ad immaginare che non ci sia altro. Che non posso ottenere di meglio per me. Che il mio sentire, che io reputo forte con me stessa, possa invece essere più fragile rispetto al mondo che mi circonda.

Mi sto interrogando molto su di me, su cosa sono disposta a fare, e a sopportare pur di vivere nel modo che ritengo. E scopro che, nonostante ci sia una paura enorme di tutto, particolarmente di ciò che non conosco, c’è anche un bisogno vitale di inseguire il mio sentire. Di vedere dove mi porta. Di scrivere queste cose e darle in pasto al mondo.

Nel momento in cui mi sento più oppressa dalla realtà, in cui mi sembra che non ci sia nulla da fare se non soccombere, quello è il momento in cui sento una spinta vitale che mi porta verso l’alto, che mi fa emergere dai miei abissi, da quel fondo oscuro che, sempre più spesso, sono io stessa che scavo con le mie mie mani, perchè il fondo dato non mi basta.

Ed è in quel momento che mi accorgo che l’unica, autentica, paura che ho è di me stessa: paura di ciò che posso scoprire al di là di ciò che già so. Paura di stancarmi, di sacrificarmi per qualcosa che è mio e solo mio, qualcosa che nessuno condivide con me, un obiettivo per il quale impiego il 100% di me stessa, e rispetto al quale ho un margine di errore enorme. Ma anche di vittoria. E questo mi spaventa.

Mi spaventa perchè non sono abituata ad assecondarmi, a fare le cose perchè piacciono a me; deve esserci sempre un secondo fine, qualcosa che le renda utili ad altro, a qualcun altro.

Forse ho paura di bastare a me stessa. Nonostante lo desideri e lo stia già facendo, evidentemente non ne sono consapevole. A volte bastarsi significa anche assecondarsi, farsi del bene.

Ecco, molto spesso temo di farmi del bene. Perchè la precarietà e l’instabilità so gestirle benissimo, ma il bene, l’amore, queste cose no. So come si vive sull’orlo del burrone, cosa significa essere preda di me stessa; ma la stabilità, questa è grande sconosciuta. Non ho idea di cosa si provi a centrare il bersaglio, ad essere me stessa fino in fondo.

Ma mai come in questo momento, sto desiderando profondamente esserlo. Per disintossicarmi di tutto ciò che non è me, che continuo ad accettare pur di andare avanti, pensando di non poterne fare a meno.

Una cosa rivoluzionaria che ho scoperto ultimamente è che io non sono i miei bisogni. Che spesso, nelle relazioni interpersonali, ma anche nei dialoghi con noi stessi, li mandiamo avanti, mostrandoli come se dentro di noi non ci fosse altro.

In effetti possono capitare momenti in cui ci si identifica con quei bisogni. Ma quanto, quei bisogni, possono ostacolarci nella nostra percezione del reale, del mondo che ci circonda, delle persone con cui ci relazioniamo, di noi stessi? A volte salviamo rapporti solo per bisogno, anche quando quelle persone non soddisfano più le nostre esigenze. Ma è tale il nostro bisogno di provare qualcosa, che siamo disposti a farci male pur di non provare niente.

Penso che, alla fine di tutto, le risposte, le domande, le soluzioni che cerchiamo incessantemente, siano dentro di noi, in un punto ben nascosto, che noi stessi segreghiamo con molta cura, ma che con altrettanta dedizione possiamo riscoprire e liberare dalla paura di esporlo.

Che nel punto in cui nasce la paura, è radicata la forza di superarla. Ma a volte siamo talmente ciechi che il nostro sguardo si posa solo su ciò che conosciamo, ignorando tutto il resto.

5 commenti Aggiungi il tuo

  1. Alessandro Gianesini ha detto:

    Io percepisco una persona che vede il sé e l’ambiente che la circonda come due entità separate, quando invece sono strettamente correlate, anche se, apparentemente, diverse.
    Vedo una giovane donna che riflette e approfondisce il sé, ma che ha comunque solo un punto di vista, il proprio, come punto di riferimento, mentre molte volte una “voce fuori campo” risulta essere più obiettiva nel misurare le reali distanze tra il tuo essere e ciò che hai intorno.

    Poi, ovviamente, ci possono essere altri mille mila motivi che non ho considerato o che hai dato per scontati a influire su tutto ciò.
    Io ti vedo comunque pronta a fare un tentativo, perché se non lo farai, starai male. E se aspetterai, forse starai male per più tempo e non ti “accontentarai” (come dici tu) di quel che è.

    La paura è un campanello d’allarme, ma non significa che bisogna fermarsi quando la si avverte, ma solo essere pronti a qualche pericolo che si potrà manifestare. 🙂

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    1. ailuig91 ha detto:

      Scrivere questo articolo è già un tentativo 😃 e il tuo commento è un po’ una voce fuori campo. E poi sto facendo tanto per allontanarmi (mentalmente!) Dal mio ambiente, e tu mi dici che io e lui siamo correlati? 🤦🏻‍♀️😂

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      1. Alessandro Gianesini ha detto:

        Lo so che questo era già di per sé un tentativo e che io, in qualche modo, ti ho dato una prospettiva “nuova”.

        Allontanarsi mentalmente? Come fai ad allontanarti mentalmente senza dover continuamente “tornare a casa”? No, perché io non so come funziona e sarei curioso di provare a farlo.

        E ti ho detto che siete correlati, perché l’ambiente in cui si cresce è sempre influente su chi si diventa, quindi, in un modo o nell’altro (sia che sia odio, sia che sia amore, un legame c’è) c’è correlazione. E anche l’odio è una forma d’amore, in un certo senso.

        Però le mie sono solo parole generiche di qualcuno che nemmeno ti conosce… 😉

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      2. ailuig91 ha detto:

        Infatti neanche io so come funziona, ma faccio comunque dei tentativi!
        Penso che chiunque non si trovi bene in un posto, cerchi dentro di sè il modo per cambiare, per vivere meglio, senza sapere dove lo porterà questo continuo lavoro su se stesso.
        Che poi non è il posto che si odia, ma noi lì dentro. Negli schemi e nella mentalità in cui non ci riconosciamo.
        Tornare a casa. Non puoi non tornarci, però capita che la sensazione di casa sia “troppo”, una sicurezza eccessiva che ti fa perdere contatto con la realtà. A volte bisogna uscire di casa, dal proprio ambiente, e metterlo un po’ in dubbio

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      3. Alessandro Gianesini ha detto:

        Sì, considerazioni che non fanno una piega! 🙂

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