Ossia della facilità con cui si fanno esternazioni o complimenti sul fisico altrui, senza chiedersi se siano richiesti.
E non perché oggi dobbiamo stare attenti a tutto, e non si può più parlare di niente. Ma oggi sappiamo cose che in passato preferivamo ignorare.
Oggi è importante prestare attenzione al fatto che, solo perché una cosa si sia sempre fatta, non vuol dire che sia giusta. Solo perché determinati atteggiamenti sono stati sempre accettati, non significa che facciano meno male di quelli contro cui si ha la forza di ribellarsi.
Perché la consuetudine, a volte, si sostituisce al proprio sentire, così accettiamo commenti, o chiniamo il capo, rispetto a cose che possono farci male, sulle quali non sappiamo di poter intervenire.
E le abitudini sono belle perché danno tanta sicurezza, ma ci tolgono anche molta improvvisazione o molta personalizzazione. Semplicemente perché pensiamo che, se il sentire è comune, allora spetta a noi uniformarci ad esso. Non avere margini di innovazione rispetto a questa cosa.
Ed io voglio parlare proprio di un argomento che, soprattutto a noi donne, sta molto a cuore: la forma fisica.
Anzi, i commenti sulla forma fisica.
Perché il comune sentire prevede che noi donne siamo alla ricerca continua di conferme sul nostro fisico, o di qualcuno che si accorga che siamo in forma, o che stiamo dimagrendo. Che stiamo facendo diete, o attività fisica, insomma, che ci stiamo sacrificando e che questa cosa debba essere universalmente riconosciuta, altrimenti vale meno.
Altrimenti che senso hanno i nostri sacrifici, se nessuno li nota?
E guai a chi ci dice che siamo leggermente più tonde, o più gonfie rispetto all’ultima volta!
Combattiamo una battaglia già abbastanza difficile contro i nostri vestiti, o per lo meno contro quella parte dell’armadio piena di vestiti che indosseremo “quando dimagriremo”, che non serve che qualcuno ci ricordi che abbiamo mezzo kilo in più sui fianchi.
E non ci sfiora mai il pensiero che non siamo noi a dover entrare negli abiti, ma loro a dover stare bene sul nostro corpo.
Ci guardiamo ogni giorno allo specchio e osserviamo il nostro viso, o il nostro corpo, con occhi indagatori, occhi attenti a scovare un minimo difetto, occhi che non sono indulgenti quando lo trovano, e che comunicano al nostro cervello che abbiamo perso; che la nostra dieta è fallita, che valiamo di meno perché abbiamo una ruga o un rotolino in più, che non meritiamo di essere felici perché la bilancia segna qualche grammo in più. E allora ci priviamo di tutto, pur di rimediare al peccato di essere umani; non ci concediamo il piacere di niente perché dobbiamo espiare la colpa di non essere perfette, di non saperci gestire, né a tavola né nella vita.
Come se il numero sulla bilancia, o la figura che ci rimanda lo specchio, fosse un modello di perfezione cui ambire, oltre il quale non c’è altro. Come se non fossimo davvero noi quel numero, o quell’immagine, e dovessimo a tutti i costi aggiustare il tiro, migliorarci.
Siamo ossessionati dall’idea di essere migliori, ed in effetti va anche bene, altrimenti non ci sarebbero progressi, tuttavia tutta questa smania ci fa dimenticare di noi. Ci svuota dei nostri significati per farcene assumere altri, più astratti, più lontani da noi.
E più una cosa è distante, più ci intestardiamo per raggiungerla, per dimostrare a noi stessi e al mondo che possiamo farcela.
Proprio come la nostra forma fisica.
E oggi si parla tanto di donna a pera, a mela, a clessidra, ginoide, androgina. Ma la persona che c’è dentro quella forma, chi è? Come si chiama? Quanti anni ha? È felice? Quali sono i suoi pensieri? Come intrattiene se stessa nei momenti di vita in cui il vuoto prende il sopravvento?
Ed ecco che la nostra forma fisica diventa facile bersaglio di commenti. E spesso anche di complimenti.
Perché la prima cosa che notiamo in una persona, soprattutto quando non la vediamo da tanto, è se è ingrassata o dimagrita. È la prima cosa che balza all’occhio, ed è anche il modo più veloce e facile per rompere il ghiaccio, soprattutto se la persona in questione è dimagrita.
E con quale orgoglio le comunichiamo del suo apparente dimagrimento?
Ma siamo sicuri che quella persona voglia sentirselo dire? Anche se è un “complimento”, davvero lei lo considera tale?
Abbiamo la presunzione di pensare che, solo perché una cosa valga per noi, allora valga per tutti. Senza domandarci se anche gli altri hanno le nostre stesse ambizioni o obiettivi.
E se quella persona si sentisse grassa, in quel corpo dimagrito? O se, invece, stesse tentando di riprendere peso?
Non è una cosa banale dire ad una persona che è dimagrita. O farle un complimento sul fisico.
Perché, ovviamente, quando una persona ingrassa, nessuno te lo fa notare. Ci curiamo di tacere, di non fare alcun commento su quelle rotondità che prima non aveva, perché possono risultare offensive.
Ma una volta espresso un commento, questo esce dalla nostra sfera di controllo, e non possiamo sapere che effetto sortisce in chi lo riceve. E solo perché noi avevamo belle intenzioni nel farlo, non significa che venga considerato effettivamente un complimento.
Il punto è che è facile parlare di fisico, ma c’è reale attenzione solo alla sua superficie. Una persona non è solo il suo fisico, ma è tanto altro.
E quel fisico stesso non è solo il risultato di una dieta, o di allenamenti, o di pasti giornalieri più o meno sani: il fisico è ciò con cui ci esponiamo al mondo esterno. È ciò che esponiamo agli altri, e rispetto al quale non abbiamo alcuna difesa. È il risultato dell’equilibrio che proviamo a stabilire tra ciò che è fuori e ciò che è dentro, tra le emozioni che proviamo e il modo in cui ci concediamo di assecondarle; tra ciò che facciamo quotidianamente e ciò che ci piace davvero fare; tra i compromessi che accettiamo e quelli che rifiutiamo.
Perché se siamo dimagriti o siamo ingrassati è un dato di fatto, e non ci sarà mai un vestito abbastanza nero e abbastanza coprente in grado di nasconderlo. E noi lo sappiamo, e malediciamo il weekend di sfizi che ci siamo concessi e che abbiamo gustato con così tanto piacere, quando il bottone del jeans non arriva a chiudersi il lunedì successivo.
E come lo sappiamo noi, lo sanno anche gli altri.
Allora io mi chiedo: non è forse il caso di trattare il fisico come qualcosa di più di un semplice involucro da valutare? Non è opportuno rendersi conto che, così come può essere offensivo dire ad una persona che è ingrassata, può esserlo anche dirle che è dimagrita? O che sta bene?
Secondo te quella persona sta bene. E secondo lei?
Per quanto possa essere semplice parlare di forma fisica, per quanto possa essere facile, forse lo è fin troppo, perché è stato così da sempre.
E nessuno si è mai chiesto se una persona vuole sentir parlare del proprio fisico.
A volte mi domando se non sia più imprescindibile la necessità di dare un rinforzo positivo, piuttosto che riceverlo.
Come se l’esporci con un complimento renda l’altra persona degna di ciò che le stiamo dicendo. Come se il suo valore dovesse passare per il nostro riconoscimento.
“Come stai bene, ti vedo proprio in forma, sei dimagrita?” e in realtà stiamo dicendo “Il tuo sforzo per perdere kg e conquistare una forma migliore sta funzionando, e ora che stai raggiungendo il tuo obiettivo di pesare di meno, sei davvero una persona migliore! Io lo so, lo vedo e ti sostengo in questo (e magari vorrei fare altrettanto!)”
Si è sempre fatto, e si continuerà sempre a fare: commentare il fisico altrui come se fosse una necessità, come se una qualche forza ci imponesse di concentrarci sul corpo altrui, e magari anche di paragonarlo al nostro.
Lo faccio anche io, e ogni volta che lo faccio, mi mordo la lingua e mi riprometto di non farlo più, perché, semplicemente, non ha senso rilevare un dato di fatto che potrebbe essere molto meno scontato di quanto crediamo.
Quando qualcuno si lascia, o perde il lavoro, o subisce un lutto, abbiamo sempre molto tatto e molta paura nell’affrontare l’argomento, quasi come se temessimo di rompere qualcosa, un qualche equilibrio che l’altro ha raggiunto, e grazie al quale, nonostante tanta sofferenza nel cuore, è in grado di presentarsi davanti a noi.
Mi chiedo che cosa ci impedisce di avere la stessa accortezza relativamente alla forma fisica altrui.
ciao Giulia, il nostro corpo è il tramite, il mezzo che congiunge il nostro mondo interno con quello esterno, tela/filtro omeostatico che si situa come passaggio tra quel che sono/ho dentro e quel che fuori c’è ed esiste indipendentemente dalla mia volontà. Il corpo è esposto anche contro la nostra volontà, viene attaccato, abusato, maltrattato; il corpo viene amato, celebrato, lodato e curato. L’immagine esposta e lasciata all’occhio indiscreto dell’altro ha anche (sfortunatamente per lei), il compito di far capire all’altro come tu sei o ti senti dentro. In sostanza se io ho un corpo di cui mi curo (cioè se appaio esteticamente piacevole) , apparirò come una persona bella anche dentro (non sto dicendo che sia giusto, assolutamente.. voglio provare a riflettere in maniera aperta, con te), di converso se la tua immagine è brutta.. sarai sicuramente un brutta persona. Ovviamente.. io non ti ho chiesto un parere sul mio corpo (e io non dovrei dare un parere sul tuo, di corpo) ma la vita è confronto, incontro e scontro e quel che io sono passa inevitabilmente per l’altro sia perchè dell’altro veniamo sia perchè solo incontrandomi o scontrandomi con te, posso capire io chi sono (una gara ad ostacoli da solo, non avrebbe senso.. saprei che -correndo da solo- avrei comunque vinto ma, senza il confronto con un altro atleta, quanto posso essere sicuro di essermi allenato correttamente?). L’altro non è sempre sporco brutto e cattivo e nemmeno io.. Ora.. anche quando ci dicono (anche quando non richiesto) che siamo super atletiche, belle e toniche ugualmente ci sentiamo insicure.. ovvero la gioia di vedere riconosciuto un sacrificio dura il tempo di un sorriso.. Direi quindi che la questione forse non è cosa mi dice “tizio e caio”, ma quanto io sono davvero pronto ad accettarmi, amarmi e curarmi (di converso capita che persone che siano molto fuori forma, si amino e siano molto serene).
Mela..pera..clessidra.. sono nomignoli che le persone hanno dato a qualcosa che le spaventa e si cui non sanno bene che potere hanno (tutto ciò che non si può concretamente troppo manipolare, viene da noi clusterizzato) pertanto.. se tu non sei come Belen è perchè lei è una clessidra e tu una pera.. ergo.. la colpa è di qualcosa a me esterno. Argomento complesso, vasto e difficile da trattare e perdonami se mi sono dilungata ma mi sembrava una discussione da affrontare un pò come si fa con gli amici. Buona serata 🙂
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Condivido quando dici che la vita è confronto incontro e scontro. Che la nostra immagine sia oggetto di giudizio è senza dubbio vero, e che questo giudizio si fermi alla nostra tonicità o trasandatezza, è un fatto. Condivido anche che sta a noi accettarci, al di là di ciò che ci dicono gli altri, altrimenti nessuno parla più con nessuno. Provo a riflettere su ciò che c’è a monte, sul pregiudizio per cui apprezzare il corpo altrui possa essere una cosa positiva a prescindere. Sul fatto che, quasi, debba farci piacere ricevere un complimento sul nostro aspetto esteriore. Sono d’accordo su quello che hai scritto, penso per esempio al polverone che ha sollevato il caso di Armine, la nuova modella di Gucci, e su come siamo poco pronti ad accettare corpi o esteticità che non rientrano nei nostri ideali. Che abbiamo proprio difficoltà a guardare qualcosa che non è “oggettivamente” bello. ma poi oggettivamente per chi? dobbiamo corrispondere ad una sezione aurea per essere belli? Poi la questione della sicurezza spalanca le porte su un mondo immenso. Tanta cura esteriore, a volte, può corrispondere a dei vuoti interni che si prova a compensare superficialmente. è tutto un gioco di specchi, in cui perdere noi stessi è facilissimo, e consacrarci alla nostra immagine è la cosa più immediata. Perchè accettare o rifiutare il fisico è più semplice che impegnarci a lavorare su ciò che c’è dentro. Nel frattempo che ragioniamo, vuoi un caffè? 😀
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Giulia vai col caffè 😀
Vediamo un pò.. ti rispondo seguendo il flusso di coscienza dei pensieri, poi alla fine traiamo le conclusioni 😀
C’è da dire che la donna sia in un certo senso, geneticamente portata ad essere guardata e “indagata” dal punto di vista estetico. Biologicamente deteniamo il potere di poter portare in grembo un bambino (pertanto di far progredire la specie) ecco perchè il nostro corpo non può non essere indagato e scrutato da occhi tendenzialmente indiscreti. Gli uomini guarderanno sempre (indipendentemente dall’età o dall’essere o meno in una relazione stabile) soprattutto inconsciamente, la donna per comprenderne le sue potenzialità (passami il termine).. e le donne? Le donne guarderanno sempre le altre donne per un puro fattore di antagonismo; spesso accade che anche dietro un bel complimento si celi un meccanismo di difesa che è il rivolgimento del contrario, ovvero invece di dirti “quanto stai male, diventa quanto stai bene”. Ovviamente ciò non implica che i complimenti, ad esempio, siano falsi ma semplicemente un piccolo particolare: siamo sempre noi i principali carnefici di noi stessi (e qui, non c’è altro che tenga). Quando mi confronto con te, in realtà uso sempre me stesso come metro di giudizio/paragone pertanto se tu stai bene o meno.. il problema indirettamente sono io (che magari starò male o bene).
Il discorso della modella Gucci lascia il tempo che trova.. Usare in un mondo fatto solo di stereotipi e di immagine, una donna di un’altra cultura è tutto un dirsi. Cosa significa essere belli.. cos’è a bellezza..
Studi alla mano per i bambini è bello ciò che è tondo, morbido e armonico. Cosa è bello per la nostra società? Ciò che è alto, magrissimo ha un seno sproporzionato (e freddo in quanto plastificato) e delle labbra canotto che spesso a causa degli aghi per iniettare i filler sembra abbiano l’herpes..
Cosa ha comportato ciò?
Insicurezza, calo del desiderio (uomini non più capaci di avere un orgasmo e sempre più femminili e di converso donne sempre più fredde e meno accoglienti).
La bellezza è strettamente legata alla cultura di provenienza (la modella in questione, infatti, viene da tutt’altro paese) così come in Africa può essere bello un sedere enorme, mentre in Italia no.
Cos’è oggettivo.. cos’è soggettivo..
Giulia uno dei problemi è che l’essere umano ha perso il contatto col proprio desiderio consentendo ad esso, una sostituzione – non richiesta- del desiderio altrui (un altrui X) dimenticando chi è e cosa vuole. Personalmente lavorerei sulla riscoperta e la presa in considerazione (e ricongiungimento) col proprio desiderio, indipendentemente dalla taglia, dall’avere o meno il viso scavato con degli zigomi enormi e le labbra livide; indipendentemente dall’avere un sedere alla J.LO o dal fatto che “tu” mi dica che oggi sono carina.
Costruiamo il nostro mondo ergendo confini permeabili dove siamo pian piano capaci di comprendere chi o cosa lascia passare.
Perdona -anche oggi- la lunghezza 😀
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Eccomi, nel frattempo ho fatto anche i biscotti da accompagnare al caffè e alle riflessioni 🙂
Siamo perennemente scrutate, sotto giudizio, ok, lo accetto. Siamo noi i primi a giudicarci, quindi! mi sembra comunque che questo comune sentire (essere scrutate da altri uomini o altre donne) sia semplicemente il modo più veloce per toglierci di dosso il giudizio che noi abbiamo su di noi (gli uomini relativamente al desiderio di “possederci” e anche sentirsi più potenti per la conquista; le donne per, come dici tu, sentirsi meno inferiori rispetto all’altra). Il punto è che la cultura è tutta incentrata sul fuori. Anche per la questione dello stereotipo di bellezza di un altro paese. È tutta una continua ricerca di una “perfezione” esteriore, di un ideale con cui competere, e per cui lottare, per non doverci, fondamentalmente, accettare (o comunque sono in pochi a farlo). A volte mi sembra tutto una follia legalizzata dalla pubblicità. Il fatto che tale insicurezza sia provata dalla maggior parte delle persone, la rende meno grave che se la provano in poche. E facciamo pace con noi stessi, evitando di farci domande.
Come se fossimo depositari non solo dell’insicurezza nostra, ma anche di quella altrui, e questa ci permette di mettere ancora più muri in noi stessi.
Credo che il discorso sia sempre focalizzato su di noi. Tutto ciò che riguarda le vicende umane e le conseguenti emozioni dovrebbe partire dall’analisi del modo in cui una cosa ci fa stare, e dalla volontà di accettarlo o di fare qualcosa per cambiare.
Sulla questione dei complimenti: bè, mi sembra proprio che chi li riceva sia depositario dell’incapacità altrui di sapersi voler bene. Ecco perchè non sempre bisogna dire tutto. A volte si dice perchè dobbiamo allontanarlo da noi, perchè ci fa male e non sappiamo gestirlo. E rimetterlo negli altri è semplicemente più semplice.
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Vorrei anche aggiungere una cosa: che oggi, più che in altri periodi storici, siamo ancora più scollati dalla realtà perchè di fatto non la viviamo, Ma siamo online. E questo complica tutto esageratamente. Perchè i modelli proposti tendono ancora più tragicamente alla perfezione (su ig ci sono donne con corpi strepitosi, e account che svelano come in realtà quelle foto siano profondamente modificate). Quindi il problema della percezione di noi stessi rispetto all’esterno è ancora più sedimentato e cronicizzato: perchè qualsiasi forma fisica è la forma giusta, se ci fa stare bene. Ma vogliamo apparire diversi. Oggi ci aiutano le app di ritocco, e nella realtà quali sono gli strumenti di cui disponiamo per difenderci da noi stessi?
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Ora mi chiedo: ma perché tanti anni di lotta per esporlo liberamente, metterlo in mostra spesso ben più del buon gusto e poi venire a lamentarsi se qualcuno fa un commento? Che se poi non si riconosce il cambiamento dopo tanti sacrifici (dieta, palestra o entrambe) apriti cielo.
Siete troppo complicate. E prendete tutto troppo sull’ideologioco. STOP.
😉
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Forse quest’esigenza di non sentire commenti deriva proprio da così tanta esposizione. Che magari non ne possiamo più di essere al centro dell’attenzione con il nostro fisico. Se non sbaglio già nel 91 si cantava che oltre alle gambe c’era di più 😀
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Mai detto il contrario, anzi… Spesso è così.
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Giulia! caffè, biscotti.. va bene tutto😄
ad essere sincera questo discorso mi ha ricordato un pò alcune cose che dicevo insieme alla collega, durante il corso di accompagnamento alla nascita che tenevamo insieme.
Personalmente non ho social (mi sono sempre definita a/social ma non asociale); in sostanza ho scelto “per scelta” di tenermi lontana da un certo tipo di mondo/immagine, lasciandomi la possibilità di scelta.. La possibilità di scegliere che contenuto vedere e/o filtrare, in autonomia.
Nel CAN che tenevamo, i genitori spesso avevano paura del fatto che un domani i propri bambini, avrebbero per forza dovuto avere un cellulare subito (già a 5/6 anni, perchè tutti ce l’hanno) e alcuni temevano che i propri bambini non avrebbero mai amato (ad es la musica di Sting)perchè poi sui social.. chi parlerà mai di Sting..
Il tutto è riassumibile con : siamo noi sempre e soltanto i padroni di ciò che abbiamo o non abbiamo; di ciò che siamo o non siamo (e così via). Evitare certe immagini non è foderarsi gli occhi (seguo da lontano molte influencer sia per lavoro che curiosità umana) e credimi che sono molto informata proprio perchè ho l’esigenza di formarmi un pensiero ma.. che sia mio! Gira e rigira (e te lo dice una che ha subito tantissimi anni di bullismo quando questo, ancora non era etichettato con questo nome) il lavoro è sempre nostro. E’ lavoro duro ma è costruzione del nostro personale edificio che così facendo, sarà come gli edifici asiatici, capaci di resistere anche ai peggiori terremoti consentendosi delle ampie oscillazioni senza però, mai crollare.
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Sì, siamo sempre noi che scegliamo. E questa cosa è possibile perchè quando sono approdati alla realtà i social, noi eravamo già “adulti” (?) o comunque con una struttura ben formata. Penso che oggi l’uso del telefono e dei vari social sia parte integrante della vita di tutti i giorni, sia fonte di guadagno, di informazione e anche, in un certo modo, di coesione (non necessariamente negativa; p.e. oggi sono andata in escursione e al termine abbiamo condiviso tutti le foto della giornata in un album unico su fb, in modo da scambiarcele); la realtà corre su dei binari molto veloci, e a volte equipararne la velocità ci crea una vera e propria frattura interna, se siamo strutturati possiamo impedirlo, ma le future generazioni nasceranno immersi in questa situazione, in famiglie e ambienti sociali estremamente social. In un contesto simile è possibile esistere, e pensare ad un’essenza che non sia una mera immagine, o illusione per compiacere gli altri? In altre parole, è possibile rendersi conto dell’ansia da prestazione che ci fa tendere alla perfezione “social”? Scindere il reale dall’illusorio, e soprattutto rendersi conto di cosa sia l’uno e cosa l’altro? Tornando al discorso dell’immagine: tutti super modelli su ig, fieri del corpo perfetto da esibire; ma di cosa si è davvero padroni in questo modo? E che cosa siamo realmente?
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Giulia credo che le domande sulle future generazioni creino problemi che al momento, non possiamo addossarci più di tanto; pensare a cosa sarà domani ci impedisce di riflettere su cosa è oggi partendo da quel che è stato ieri. I bambini, ragazzi futuri adulti di domani saranno il risultato delle piccole talee che dissemineremo noi, come esseri umani (magari futuri genitori, chissà). I social nessuno li impone e si può vivere benissimo senza come, di converso, se accetti di sostare su certe bacheche accetti (neanche tanto implicitamente) le regole del gioco. Far parte di un sistema volendo fare colui che lotta contro i mulini a vento, mi sembra una perdita di tempo e una possibilità stancante per un apparato psichico che di tutto ha bisogno, tranne che di ulteriore fatica e acido lattico che crea crampi e traumi.
Si scegli, solito discorso.
Puoi scegliere Giulia.. “cosa siamo realmente?”.. mi sembra un’ottima domanda di chiusura per il nostro incontro di idee.
Buona serata 🙂
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Giusto, cosa siamo realmente è l’unica cosa che valga la pena indagare 😃 buon weekend 😄
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😀 buon weekend a te, Giulia 😀
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