Tanto c’è il Covid

Succede questa cosa durante la quarantena/zona rossa/gialla/arancione/arcobaleno: che, per qualche strano motivo, sei in qualche modo legittimato a non fare niente.

Parliamo di chi sta vivendo questo periodo senza un lavoro.

A prescindere dai motivi per cui uno arriva a non avere un lavoro, è un dato di fatto. Non lavorare, al momento, significa non fare niente tutto il giorno. Ora più che in altri periodi storici in cui si è senza lavoro.

Significa che il da fare devi inventartelo tu, e significa anche che devi vivere con il costante senso di frustrazione dato dal fallimento di ogni ricerca di occupazione. Con questo e con tutta la precarietà che si porta dietro questa realtà.

Significa che, se non lavori, la vita ti ricorda che non sei produttivo, e che non sei altro che una persona in cerca di lavoro. Se invece lavori, non sei altro che il tuo lavoro. Perchè sembra che il Covid abbia azzerato la possibilità di essere tutto il resto al di fuori della nostra occupazione principale. O almeno questo è ciò che gli permettiamo.

Perché, con una pandemia in atto, e con il cambio dei colori ad intervalli regolari di tre settimane, chi ti dà lavoro?

Con le attività che chiudono, e il generale senso di amarezza, sfiducia e fallimento personale ed economico, non c’è nessuno, al momento, che ti assume. Disposto a pagarti per la tua professionalità.

E se qualcuno intravede del talento, intende semplicemente sfruttarlo, dando ben poco in cambio.

Ciò che questa pandemia sta facendo emergere sono, di fatto, i nostri limiti rispetto alla consapevolezza di ciò che possiamo fare.

Perché sembra che il Covid sia diventato l’impedimento per tutto.

Non lavori? Eh ma c’è il Covid, chi assume?

Non esci? Eh ma siamo in zona ***(colore a caso), chi me lo fa fare?

Sei depresso? Eh sai com’è, c’è il Covid!

Non hai voglia di fare niente? Eh ma con il Covid che vuoi fare?

Hai un’idea da sviluppare ma hai paura di fallire? Eh ma con il Covid che inizi a fare, è un fallimento annunciato!

Hai un guasto emotivo da sistemare? Eh ma con il Covid bisogna mantenere il metro di distanza anche da noi stessi!

E invece no, io non lo so com’è. Anzi, forse l’ho capito fin troppo bene, e non mi piace.

Perchè tutti i nostri limiti oggi sono giustificati dal Covid. Ed è la scusa perfetta per non fare nulla, per non provare a superare le nostre paure, per non adeguarci alla realtà che si sta pian piano delineando.

Perché, vuoi o non vuoi, ormai il Covid è una realtà. E noi ci viviamo nella realtà, non possiamo fare finta che non sia così. E continuare ad imputare al Covid le paure che ci bloccano nel nostro mondo protetto, nella realtà che pensiamo per noi stessi.

Negli ultimi tre giorni mi è successo di sentirmi parecchio depressa per colloqui di lavoro che non sono andati come desideravo, e mi sono completamente chiusa in me stessa. Non perchè non mi stia animando per cercare lavoro, anzi. Però non ho lasciato neanche uno spiraglio aperto, non ho permesso ad alcuna luce di illuminare l’oscurità in cui hanno iniziato a vagare i miei pensieri. E pensare che fosse zona arancione, e che quindi non avessi tanta alternativa che restare a casa a rimuginare su questi che ho sentito come fallimenti, mi ha fatto sentire bene.

Perché mi ha dato l’impressione che io, effettivamente, non potessi fare altro che rimanere seduta sul divano a rimestare i miei pensieri tristi, a condirli di maggiore sfiducia, e a lasciare che l’insicurezza governasse il mio sentire.

E dare la scusa al Covid, vi assicuro, che è un sollievo! Perché non è colpa mia se non posso uscire. Non è colpa mia se non posso fare di più di quello che già sto facendo, e di fatto non basta.

Quando basterebbe semplicemente ammettere che non sempre siamo in forma smagliante, e ci possiamo concedere momenti di buio, per poter apprezzare meglio la luce.

Quindi il Covid non c’entra niente. È semplicemente la giustificazione universale che ci stiamo dando per chiuderci in noi stessi. Per non sforzarci di cambiare, di amarci di più, per continuare a lamentarci senza individuare in noi la causa di (non dico tutti ma almeno alcuni) fallimenti che viviamo quotidianamente.

Però non ci sto. È troppo facile imputare al Covid la colpa della nostra incapacità di andare oltre, di adattarci, di cambiare.

E lo dico prima di tutto a me stessa. Perchè, a volte, chiudermi mi riesce più facile che aprirmi, e perché c’è una vena tendenzialmente pessimista in me, che mi porta un po’ ad abbandonarmi all’inerzia, a lasciare che le cose vadano come stanno andando, senza accompagnarle, senza direzionarle. A volte indugio sulla mia insicurezza e su questo pessimismo, e spesso ho pensato “Meno male che c’è il Covid, così non devo affrontare ***(scegli una cosa a caso che ti fa paura).”

E a me stessa dico che così è troppo facile. Che oggi è il Covid, ieri magari è stato altro, e domani cosa sarà? Cosa continuerà ad impedirci di aprire gli occhi sui nostri limiti e ad impedirci di superarli?

Il pensiero più basso che ho avuto in questi giorni è stato: “Vorrei andare a camminare, ma chi me lo fa fare? Non sarà una camminata a tirarmi su il morale, non avendo la libertà di fare tutto il resto”.

Ecco. Trovare i nostri margini di libertà e riconoscere effettivamente quali sono i limiti che ci impone questa nuova realtà e quali sono le paure che non abbiamo il coraggio di affrontare, ed è più semplice imputare agli impedimenti esterni.

Spoiler: non è colpa del Covid. Perchè quando lui smetterà di essere un problema, rimarremo noi con le nostre consapevolezze a metà e con la forza di giudicarci anzichè di accettarci umani. Con la voglia di trovare terzi colpevoli anzichè riconoscerci responsabili di noi stessi.

3 commenti Aggiungi il tuo

  1. Alessandro Gianesini ha detto:

    E fattela ‘sta camminata: almeno arriva l’ossigeno sotto tutti quei capri… ehm… ricci! 😉

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    1. ailuig91 ha detto:

      Sto per l’appunto andando 🚶‍♀️😃

      Piace a 1 persona

      1. Alessandro Gianesini ha detto:

        Brava 😉

        "Mi piace"

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