Complimenti? Sì, ma non da tutti.

Vivere con il caldo di questi giorni è come attraversare un tunnel di fuoco in cui le fiamme si appiccicano alla pelle: rassegnato, aspetti il momento in cui brucerai definitivamente, e l’agonia è lenta e inesorabile.

Casa mia poi è ventilatori free, quindi non mi resta che stendermi sul pavimento in cerca di refrigerio.

Quando anche le mattonelle si riscaldano, e inizio a sudare sentimenti, l’unica soluzione è andare in qualche bar e respirare un po’ di fresco.

Esco quindi di casa nel mio vestito rosa, zaino Eastpak in spalla e la borsetta di Tolfa.

Seduta ad un tavolino, con il pc, l’agenda e l’Estathè al limone, scruto le persone che entrano, che consumano al bancone, che ridono con i baristi; ritagli di un’estate e di una vita di rapide e taglienti ironie.

L’ambiente è ospitale e quasi confidenziale, ormai sono seduta da almeno due ore a fare ricerche per progetti, inviare cv, scrivere di quelle emozioni tanto spinose che vivono aggrappate come rovi all’anima.

A volte i graffi sono profondi e il cuore sanguina. Oggi mi fa più male tenerle dentro che lasciarle uscire, quelle spine. Anche se mi graffiano la gola. Oggi va così.

Ad un certo punto arriva un tipo che avrà tra i 65 e i 70 anni, si siede al tavolino di fronte al mio e ordina un ginseng. Dice alla barista, con fare simpatico, che sta aspettando qualcuno.

La ragazza si allontana con l’ordine sul blocchetto, e lui inizia a fissarmi.

E già questa cosa mi mette estremamente a disagio, perchè chi sei, che vuoi, chi ti conosce?

Il tipo si alza e si siede al tavolo affianco al mio: se prima c’erano due sedie e due tavoli a dividerci, ora ci separano solo un metro, e l’aria che può riempire uno spazio così ristretto.

Appena si siede mi chiede se può offrirmi un caffè con sorriso sornione e occhi languidi.

Io lo guardo di sfuggita, lo ringrazio e gli dico che non voglio niente.

Le distanze tra di noi si sono assottigliate irrimediabilmente, e provo a tenerlo alla larga con le parole, o meglio, con l’indifferenza. Mi volto, gli dò le spalle, faccio finta di niente.

Lui torna a parlarmi, mi chiede se sul pc sto preparando un esame o sto scrivendo la tesi. Gli rispondo che sto lavorando, e dentro di me non capisco come lui non percepisca il gelo artico che emano, e che basterebbe a rinfrescare tutta Cassino.

Dopo altri cinque minuti, arrivano il suo ginseng e la persona che sta aspettando: un avvocato, devono discutere di una causa.

Finito con il suo interlocutore, il tipo torna a rivolgermi la parola “Signorina, è sicura che non vuole che le offra un caffè? – Le ho già detto che non voglio niente”. A quanto pare, stavolta l’indifferenza non è stata mia alleata.

E di fronte alla sua insistenza, e totale mancanza di comprensione degli eventi, la mia pazienza inizia a vacillare.

Spengo il pc ma non posso fare a meno di pensare che se mi alzo per prendere lo zaino, lui potrà guardarmi da dietro, contemplare la mia schiena, il mio sedere e le mie gambe con quello sguardo lascivo con cui mi ha già squadrato da seduta.

Decido di rimanere sulla sedia, allungo le braccia per prendere la borsa, e mi alzo solo dopo aver messo il pc dentro, quando sono sicura che non devo più indugiare in piedi, ma posso allontanarmi il prima possibile da quel vecchio e dal suo sguardo penetrante e invadente.

So che il fastidio che sento addosso, il sentirmi sporca, non se ne andranno facilmente: nel momento in cui mi alzo, lui mi guarda da capo a piedi, gli sono vicina, potrebbe anche toccarmi, se solo osasse.

Io mi sento mangiata e digerita dai suoi occhi, il mio corpo in balia dei suoi pensieri; naufraga nelle immagini che la sua mente produce sulle mie gambe, sul mio sedere, sul mio seno, sui miei capelli.

Mi giro e lo guardo negli occhi, lui mi dice “Complimenti per il rosa del vestitino”.

E io gli dico, con un tono di sfida “Sta facendo i complimenti proprio al rosa del mio vestito vero?”

E lui, impunito “No, li sto facendo a lei e al suo corpo”

E io “Non la conosco e i suoi complimenti non mi interessano, anzi mi danno la nausea” e mi allontano con un fastidio addosso che non è più contenibile.

La proprietaria del bar mi chiede che succede, perché quel tipo ha già importunato altre persone. Le dico “Commenti non richiesti”.

E intanto mi chiedo perchè questo non sia ancora stato cacciato, se è l’ennesima volta che si comporta così.

Lui viene verso di me, e lei gli intima di non farlo più, complici altri richiami.

Lui ha la faccia tosta di chiedermi: “Cosa ho fatto che l’ha infastidita?”

Io gli dico l’ovvio: che non voglio le sue attenzioni, e che dall’inizio non gli ho dato confidenza perché non volevo avere a che fare con lui.

Ma il tipo mi dice, con arroganza: “I complimenti non danno fastidio a nessuno, non si fanno su richiesta e fanno piacere a chi li riceve! Non si può dire più niente ormai!”

È una situazione paradossale: la proprietaria del bar è furibonda, e io sono proprio incazzata. Gli faccio presente che i suoi complimenti sono sul mio corpo, roba mia, e che se io mi infastidisco, lui deve chiedere scusa, e non proseguire oltre il limite già oltrepassato.

Lui fa spallucce e torna a sedersi, continuando imperterrito a ripetere che può apprezzare chi vuole.

Veniamo quindi a noi e ai: “Complimenti per il rosa del vestitino”.

Cosa si cela dietro alla parola “vestitino”?

Un diminutivo che mi priva del mio valore di donna adulta, riducendomi ad una bambina indifesa;

un diminutivo che userebbe una persona cara, un amico di famiglia, che può permettersi la libertà di fare un complimento ad una bambina per il modo in cui è vestita;

un diminutivo che userebbe un estraneo che, con fare tenero, si rivolge ad una bambina, alla quale parla in modo innocente e casto.

Insomma, un modo per dissimulare la realtà: un uomo adulto, molto adulto, che guarda compiaciuto e malizioso il corpo di una donna, più giovane di lui, e molto probabilmente inaccessibile e, senza la benché minima confidenza, le fa un complimento.

Non può avermi fisicamente e prova a penetrarmi con le parole?

Come se lui avesse la libertà di pensarmi a suo uso, consumo e piacere nella sua testa, e di riferirmelo.

Con la pretesa, tra l’altro, che il suo immaginario debba farmi piacere. Che l’essere apprezzata, prima per il mio vestito, e poi per il mio corpo, debba compiacermi.

Con la presunzione e l’arroganza di credere che io sia lì per essere guardata da lui, e che non abbia voce in merito: che non possa fargli notare che lo trovo irrispettoso o che mi dà la nausea.

Perché, alla fine, quello che pensa lui di me vale più di quello che io penso di lui.

È proprio questo il punto: se io ti faccio notare che non gradisco quello che mi dici, il discorso deve chiudersi lì. Nessuno può dirmi come posso o devo sentirmi rispetto a ciò che mi viene detto.

Tanto meno uno sconosciuto che, dopo avermi fissato mezz’ora, mi fa un complimento sul mio corpo, per poi dissimulare i suoi intenti palesemente ambigui.

Esistono dei limiti, a volte tangibili, espressi a parole, altre volte intangibili ma percepibili attraverso l’indifferenza o il distacco, che non si possono superare.

E oltrepassato questo confine, l’incapacità di gestire un rifiuto non può essere ridotta ad un “Non si può più dire niente ormai” perché tu, sul mio corpo, non mi puoi dire niente se io non te lo concedo.

E se lo fai, accetti che io ti risponda, e ti metta nella stessa situazione scomoda in cui mi metti con i tuoi commenti.

E in questo caso non sono io la cattiva che ti bacchetta, o alla quale non si può dire niente. Ma sei tu che devi imparare a gestire la scomodità di essere nel torto.

Chiamiamo le cose con il loro nome: si tratta di un modo di fare aggressivo. E tacere di fronte ad un complimento non richiesto non lo rende più giusto, o meno invasivo.

La violenza non passa solo attraverso gli atti plateali, ma si insinua nelle parole, negli sguardi, nei pensieri vomitati e, soprattutto, nel non riconoscere l’altra persona come una propria pari. Nel pensare che ciò che dica non sia importante.

Fischi o battutine per strada, commenti quando si cammina in metro, essere fissate di continuo in locali: c’è una letteratura di situazioni in cui le donne affrontano lo sguardo e il giudizio maschile penetranti ed invadenti.

Situazioni in cui spesso noi rimaniamo in silenzio, perchè è talmente alienante e disarmante il commento che è difficile riuscire a reagire. O perchè spesso siamo da sole, contro branchi di quattro o cinque uomini, e rispondere fa più paura che passare oltre, sperando di sparire.

Non si tratta di episodi eccezionali, ma di vita di tutti i giorni. In cui ci sentiamo insicure e indifese, mentre la rabbia dentro aumenta sempre di più.

Per anni si è taciuto di fronte a questi atteggiamenti, e il silenzio è stato riempito dalla convinzione, da parte di chi parla, di essere nel giusto; di poter dire la qualunque, senza generare reazioni degne di nota nell’interlocutore; di sentirsi anche in diritto di farlo, perché l’altro è un oggetto in suo potere.

E quando il vecchio della mia storia se ne tornava al tavolino convinto di essere nel giusto, ho visto muoversi con lui il granitico muro della sua presunzione di dirmi in che modo posso o non posso sentirmi rispetto ai suoi commenti.

Una convinzione che esclude a priori ogni tipo di confronto, in questo caso con me.

E non c’è crescita quando non ci si mette in dubbio. E il dubbio nasce da un confronto alla pari con le persone, privato della supponenza di sapere cosa l’altro provi.

Ma le parole da sole sono strumenti potenti, in grado tanto di ferire quanto di curare, e in questo caso di aprire una breccia negli animi delle persone, e di abbattere questo muro di silenzio e mascolinità tossica dilagante nella nostra società.

Un commento Aggiungi il tuo

  1. ugologu ha detto:

    Essere carina non dovrebbe essere un problema e purtroppo viviamo in una società dove si pensa proprio come il vecchio(mio coetaneo 😭). Bisogna fare capire che se gli stessi apprezzamenti che fa lui,li facessero a sua madre,a sua moglie o peggio a sua figlia,il soggetto non resterebbe piacevolmente colpito da tali lascive considerazioni.Che abbia gli occhi per guardare passi,come dice Ail, alcune volte non si riesce proprio…ad ignorare ☺️ ma resta al posto tuo !
    Buona estate 🤗

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