Alvito, domenica 19 febbraio 2023.
Sono passate da poco le 18.30, la festa di Carnevale è agli sgoccioli. La folla è riunita in piazza della Vittoria. C’è attesa nell’aria. Aspettiamo tutti il rogo di Re Carnevale.
Davanti a noi un giocoliere vestito di tutto punto fa uno spettacolo con il fuoco: tizzoni ardenti volteggiano nell’aria, disegnando cerchi luminosi che sembrano graffiare l’oscurità del cielo.
Con il bastone incandescente che scrocchia tra le sue mani, l’acrobata si avvicina sempre di più alla sagoma esanime del fantoccio del re. La sentenza è lapidaria e inappellabile: morte. Le persone accorse per assistere all’esecuzione trattengono il fiato.
Lo facciamo tutti nello stesso momento e il respiro individuale diventa collettivo: le bocche di ognuno si chiudono all’unisono e per qualche secondo tutto tace, l’aria trattenuta strenuamente nel corpo. Il giocoliere – in altre situazioni l’avremmo chiamato giustiziere, boia, carnefice, nomi che, tuttavia, non si addicono alle sue gesta sorprendenti e alla meraviglia che le sue azioni suscitano nel pubblico di grandi e piccini – è accanto al fantoccio e il fuoco passa dal tizzone arroventato al lembo di tessuto designato per ardere il corpo di legno, carta pesta e paglia del Re Carnevale.
Il fuoco si sta spargendo e noi tutti insieme ricominciamo a respirare. I nostri corpi si muovono formando un’onda: le spalle riprendono ad alzarsi e abbassarsi contemporaneamente. Intanto il rogo incendia la sagoma e illumina la notte buia del sacrificio. Un leggero venticello direziona il fuoco verso sinistra e il fantoccio brucia con ardore. Alle sue spalle, due bandiere si agitano e il fuoco sembra risucchiarle verso di sé.
L’impalcatura che regge Re Carnevale, montata in una sola settimana, inizia a cadere; la carta si frastaglia in mille pezzettini. Anche questa è la fine che fa il lavoro dell’uomo: frantumato in un alito di fuoco. I lembi di tessuto volano sullo sfondo nero del cielo e lo colorano di arancione, giallo, rosso. Stelle cadenti a portata di mano e di respiro. Quanti, vedendole, hanno pensato di esprimere un desiderio?
È questa la fine di Re Carnevale, che anche quest’anno ha trovato la morte per mano degli abitanti della Ciociaria. E non una sola volta! Sono diversi i comuni ciociari che festeggiano il carnevale e quando sono finite le sfilate dei carri e le maschere più belle si sono messe in mostra sotto gli occhi di tutti, arriva il momento dell’esecuzione.
Re Carnevale è un fantoccio di carta, legna e paglia, creato con scrupolo e impegno, alto anche tre metri. Ha lunghi capelli biondi, è vestito come un generale di guerra, con un mantello che gli copre le spalle. Non è un caso che abbia questo aspetto: egli è il generale francese Championnet, legato alla storia della Ciociaria degli ultimi anni del Settecento.
L’esecuzione di Re Carnevale oggi è un avvenimento goliardico, accompagnato dalle urla della folla che resta ammirata dalla maestosità della costruzione, dallo spettacolo di colori che il fuoco realizza sullo sfondo buio del cielo, e che schernisce il passaggio della statua.
La storia di Re Carnevale richiama alla memoria un episodio drammatico avvenuto a Frosinone tra il 1798 e il 1799.
Torniamo indietro nel tempo, all’origine di questa storia: la Rivoluzione francese. Dopo la presa della Bastiglia, un vento di libertà raggiunge i paesi limitrofi, compresa l’Italia. Le truppe giacobine d’oltralpe entrano a Roma il 9 febbraio 1798 e, deposto papa Pio VI, dichiarano la Repubblica romana sei giorni dopo.
Nonostante i nobili intenti, quella francese è una vera e propria occupazione. I soldati non vogliono solo portare la repubblica e liberare il paese dalle catene della schiavitù della monarchia, ma anche arricchirsi: derubano ori e argenti dalle chiese, come fanno nella città di Frosinone e nella Certosa di Trisulti e impongono tasse pesanti alla popolazione. I cittadini, stanchi di questi veri e propri soprusi, si ribellano e il 26 luglio 1798 cacciano gli usurpatori della loro terra.
La repressione francese non tarda ad arrivare: molti ciociari trovano la morte, alcuni vengono torturati, altri picchiati, ben 97 case vengono bruciate e le chiese saccheggiate. I francesi non hanno pietà per nessuno. Uomini, donne, anziani e perfino i bambini: tutti sono travolti dalla loro furia.
Dopo quest’episodio, i frusinati, instancabili lavoratori con un vivo senso dell’umorismo e un’alta dignità, ricostruiscono la città: nonostante l’occupazione giacobina, nel 1799, l’anno successivo alla ribellione sedata nel sangue, decidono anche di festeggiare il Carnevale e la festa della Radeca – ossia la foglia d’ agave, un simbolo di fecondità, festa che affonda le sue origini nei riti precristiani e pagani sulla fertilità – e per l’occasione preparano uno scherzo alle truppe francesi comandate dal generale Championnet.
Diffondono la notizia che in città c’è una rivolta e Championnet in persona decide di sedare con la violenza questa nuova sommossa. Arrivato a Frosinone però non trova il clima ostile che si aspettava, ma una festa. Gli abitanti ciociari gli hanno teso un tranello e il generale francese non può fare altro che partecipare ai festeggiamenti del carnevale, bere vino rosso e mangiare i fini fini, ossia le fettuccine tipiche della Ciociaria.
In seguito a questo scherzo il generale Championnet è diventato simbolo del Carnevale frusinate e dei paesi circostanti dove, ancora oggi, durante questi giorni di festa, si mangiano fettuccine al sugo e si beve vino rosso.