Cosa c’è oltre lo specchio?

Mentre scrivo su carta, faccio automaticamente un gesto che faceva sempre Antonio, l’insegnante con cui facevo ripetizioni di matematica e fisica al liceo, e padre della mia compagna di banco: quando si accumulava tanto inchiostro sul pennino, lui lo toglieva sulla parte superiore del foglio. E così, alla fine delle lezioni, oltre ai tanti numeri che riempivano la pagina, c’erano anche tanti sbuffetti di inchiostro.

E mentre ricordo quei momenti, mi riaffiora anche il senso di smarrimento che provavo davanti alle sue spiegazioni: lui scriveva, scriveva, a volte disegnava, e parlava tanto. Mi parlava di algebra, di geometria, di fisica, di logica, e io non capivo niente.

Non riuscivo ad immettermi nel flusso dei suoi pensieri, né a seguire i suoi ragionamenti, e non avevo il coraggio di dirglielo. Per me era tutto così complesso ed intricato, che non sapevo neanche da dove iniziare a dirgli cosa non capivo.

E quindi non facevo niente. Continuavo ad andare da lui e a restare in silenzio davanti a quelle cose per me incomprensibili.

E così mi sento oggi di fronte al mondo del lavoro: invio un sacco di cv, che vengono puntualmente ignorati o rifiutati.

Vorrei un lavoro, ma non ottengo niente.

Anziché sentirmi a mio agio, provo una perenne inadeguatezza rispetto al mio modo di entrare nel mondo del lavoro, che si riflette su ogni altro aspetto della mia vita. Ogni cv ignorato o rifiutato, è una pugnalata a me e al mio orgoglio.

Vorrei vedermi soddisfatta, intera, capace, in grado di affrontare le sfide specifiche di ogni impegno. E invece mi vedo fuori da tutto. Ho un’immagine appena parziale di me: che non vado bene per quella posizione o per quell’azienda per cui mi candido, e questo mi fa sentire sconfitta su tutti i fronti.

Sono finita così in un vortice ossessivo per cui tutto quello che faccio, deve essermi utile per trovare lavoro.

Spoiler: è tutto inutile. Più penso ad essere performante, più la scimmietta nel mio cervello alza bandiera bianca, e smette di sbattere i piatti, lasciandomi tanto vuoto e tanto silenzio nella testa.

E più vado avanti, più non ottenere quello che voglio mi fa perdere un pezzettino di me. Un frammento che tolgo alla mia immagine già così parziale.

E allora mi sembra che il mondo del lavoro sia uno specchio per me, in cui io mi vedo incapace, sbagliata, instabile e poco professionale, e tutto perchè non riesco ad entrarci e a rimanerci come voglio io.

A volte penso di avere una relazione tossica con il mondo del lavoro: sono sempre insoddisfatta e stressata, ci litigo di continuo, provo a spiegarmi, ma dall’altra parte la risposta è sempre la stessa. Appena riesco a fissare un colloquio, mi sembra che ci siano le basi per fare la pace, che finalmente siamo sulle stesse frequenze.

Ma quel lavoro non è mai ciò che voglio, allora ci riallontaniamo, non riusciamo a comunicare. Eppure non ci lasciamo.

Io ho bisogno di lui; di continuare ad inviare cv anche se so benissimo che non serve a niente. Ma ne ho bisogno perchè in cambio ricevo queste mine, vere e proprie umiliazioni, che fanno tabula rasa sul mio orgoglio.

E ne ho bisogno per sentirmi viva, per avere uno scopo, per mettermi in pace con la mia coscienza e dirmi: almeno ci ho provato, è il mondo del lavoro che non mi ha capito.

E così continuo a non guardarmi oltre lo specchio. A considerarmi solo rispetto ai miei tentativi falliti di ricerca di lavoro.

Ma allora mi chiedo: perchè il mondo del lavoro non mi molla? Che cosa vuole da me che continua a perseguitarmi?

E l’unica risposta che ho a questa domanda è la sensazione di impotenza. La stessa che avevo davanti alla matematica e alla fisica.

La soluzione è lì, a portata di mano, ma io non faccio niente.

Se usassi tutto il tempo che perdo ad inviare cv per fare cose che mi fanno bene e mi piacciono, potrei scrivere tre libri e farli pubblicare. Eppure non lo faccio. Perchè mi schiaccia il pensiero che c’è una crisi, e io devo guadagnare a tutti i costi, devo avere stabilità e indipendenza.

Allora l’unica cosa che vorrei è prendere un sasso e sfondare questo specchio deformante che mi rimanda un’immagine parziale, mi fa vedere a pezzi, frantumata e frastagliata, dai contorni poco chiari e confusi a causa dei frammenti che si sovrappongono l’un l’altro.

Sfondare questo specchio per ricominciare a vedermi intera.

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