Prestiamo attenzione

Il 2020 è stato un bel pugno duro dritto nello stomaco.

Non c’è che dire, nessuno se l’aspettava, e abbiamo dovuto imparare a convivere con la precarietà, la confusione, anche la disperazione.

Dopo il 2020 non possiamo più ignorare il disagio, e fingere che non ci appartenga.

Non possiamo più soprassedere alla tristezza, ma dobbiamo prendere atto che una certa quantità, e qualità, di sofferenza, e di incapacità di affrontarla, abita in noi, ci viene assegnata di diritto nel momento in cui nasciamo.

Del 2020 sarebbero tante le cose da ricordare, ancora di più quelle da dimenticare.

Tuttavia il 2021 è iniziato, e pensare di resettare tutto e ricominciare da zero è utopico.

Quest’anno, come tutti gli altri.

Pensare che per il semplice fatto che abbiamo cambiato calendario, che il numeretto alla fine dell’anno sia diverso, allora possa effettivamente esserci una mutazione nostra interiore, nelle nostre abitudini o nelle occasioni che la vita ci offre, sarebbe davvero folle.

A me piace pensare che non ci sia nessuna interruzione negli anni che viviamo. Che i giorni scivolino uno dopo l’altro all’interno delle nostre vite, e che il tempo che dedichiamo alla nostra presenza in questi giorni faccia la vera differenza.

Che sia così, è un dato di fatto. Ma che noi ne prendiamo consapevolezza, è tutto un altro discorso.

Abbiamo fatto i conti con la solitudine, nel 2020. Come non li avevamo fatti mai. Come non ci saremmo mai aspettati di doverli fare.

La solitudine ci è scoppiata nel cuore in modo improvviso, lasciandoci atterriti, inchiodandoci ad una realtà senza via di fuga. E a nulla sono servite le videochiamate giornaliere, i cori sui balconi, gli striscioni con arcobaleni e scritte motivazionali, se poi tutti i singoli momenti che abbiamo vissuto durante la quarantena siamo stati soli.

Disperatamente soli. Felicemente soli.

Una solitudine imposta, che abbiamo provato ad allontanare il più possibile da noi.

Ho passato il pranzo di Pasqua con la mia mamma, abbiamo impiegato ore a preparare tutto e in meno di 10 minuti, tra le 12.30 e le 12.40, avevamo già mangiato tutto, compreso un uovo intero in due, per trovarci, all’incirca alle 12.45, stese tra il divano e il tappeto, in overdose da cibo.

Quello è stato uno dei momenti più brutti per me, perché mi sono resa conto che un’occasione che, fino agli anni precedenti, era sempre stata bella, gioiosa, arricchita dalla compagnia degli affetti, dalle risate, anche dal cibo, ma non solo, questa volta si riduceva tutto a finire il prima possibile quel pranzo, senza lasciar traccia di ciò che era stato, che avrebbe potuto essere, ma che non è stato.

Tolta tutta la parte emotiva, rimaneva solo il cibo. Che se in passato era solo un piacevole contorno, stavolta era diventato il piatto principale.

Lì mi sono resa conto, toccandola con mano, della frattura enorme su cui la quarantena mi stava imponendo di porre l’attenzione.

La solitudine come impossibilità di comunicare.

Come incapacità di parlare con l’altro, di trasmettergli le proprie emozioni, di essere colto nella propria essenza più vera, ma anche di sentire l’altro per ciò che è veramente, e non per quello che mostra.

La solitudine anche come voglia di non comunicare con l’altro.

Immagino il 2020 come una montagna percorsa da una lunga e profonda spaccatura, che ha avuto inizio con la quarantena.

Ma che non può finire con essa, e non può essere colmata semplicemente perché l’anno è passato e ne è iniziato uno nuovo.

La frattura di cui parlo è la consapevolezza che ci sono dei vuoti che deleghiamo agli altri. Delle sicurezze che non abbiamo e pretendiamo che siano gli altre a darcele. Che c’è una solitudine in noi che esige attenzione, cura, continua dedizione, e non è isolandoci o buttandoci in mezzo alla mischia che la curiamo.

Che tante volte preferiamo stare soli perché non sappiamo gestire le nostre emozioni, o, per lo stesso motivo, ci circondiamo di un numero indefinito di persone per non fare i conti con i nostri vuoti, con la nostra ignoranza emotiva.

Forse possiamo attenuarla, ma essa tornerà brutalmente a trovarci quando saremo meno pronti per accoglierla.

La solitudine di non cogliere noi stessi come individui, identità con vissuti ed emozioni che dobbiamo fare noi in primis lo sforzo di comprendere.

La solitudine di ignorarci in quanto essere umani, accontentandoci delle briciole della compagnia altrui per stare bene, per sentirci più pieni. Per mettere le distanze da noi stessi.

La solitudine di trascurare la nostra interiorità, perché assecondarla richiederebbe uno sforzo eccessivo, una consapevolezza profonda, e un coraggio di esporsi con le proprie fragilità che si può non desiderare di avere.

Il 2020 ci ha messo di fronte ad una grande verità: che abbiamo bisogno del contatto umano.

E per contatto intendo tutto.

Abbiamo un profondo bisogno di abbracciare, di toccarci, di stringerci la mano, di sentire l’odore delle persone, scoprire se sanno di buono, di mischiarci la pelle, di baciarci. Abbiamo bisogno di calore, di presenza, di essenza, e cosa c’è di più essenziale di due corpi che si uniscono, che si abbracciano e, in quella stretta, ritrovano sicurezza?

E poi abbiamo bisogno di emozioni: di entrare in sintonia con l’altro, di parlare, di comprenderci, di trovare un terreno comune su cui confrontarci, di far risuonare quelle emozioni a lungo sopite.

Di sentire che l’altro prova quello che proviamo noi, di sentirci accolti nell’emotività altrui, di non essere giudicati per le debolezze che sembrano rosicare la nostra anima inquieta.

Ma come si può entrare davvero in contatto con gli altri se non lo siamo prima con noi stessi?

Se non impariamo a non giudicarci per ciò che proviamo, che sentiamo, se prima non ammettiamo che è difficile accettare di avere paura.

Perché, in fondo, quello che è emerso dal 2020, è che tutti noi, ognuno di noi, nessuno escluso, ha paura.

Paura di rimanere solo.

Paura di affezionarsi a senso unico.

Paura di essere abbandonato.

Paura di non farcela, di non sostenere tutto il carico emotivo.

Paura di essere l’unico a stare male, a sentire di non farcela.

E invece siamo tutti uguali.

Siamo tutti umani, e la paura di essere soli ci appartiene.

Perché sin da quando nasciamo noi non siamo mai soli, ma dipendiamo interamente dai nostri genitori, per mangiare, per bere, per crescere.

Eppure, e bisogna prenderne atto, noi siamo soli.

Quindi abbiamo paura di ammettere ciò che siamo.

Anche se qualcuno ci accudisce, quando deleghiamo la cura di noi a qualcun altro; anche quando pensiamo di non essere in grado di amarci come potrebbe fare qualcun altro, tuttavia, noi siamo soli.

E siamo soli nel senso più positivo in assoluto: perché essere solo significa che puoi scegliere con chi stare. Scegliere chi amare. E da chi farti amare.

Significa scegliere l’amore che meriti, la compagnia che ti fa bene.

Prendere atto della nostra solitudine più profonda ci consente di essere liberi.

E quindi di scegliere per il nostro bene, non per evitare la solitudine.

Da uomini, la capacità di scelta è la cosa che contraddistingue la nostra libertà.

Il tanto discusso libero arbitrio è la nostra grande possibilità di realizzare davvero il nostro personale progetto di vita, di liberare la nostra essenza dalle catene della costrizione altrui.

Dai condizionamenti sociali, ma anche familiari, e dalle aspettative che tutti hanno su di noi.

Per poter seguire ciò che ci fa stare bene, ciò che ci rende fieri di noi stessi.

Io ritengo che il 2020 sia stato questo: un rilevatore di emozioni, un rivelatore di solitudini.

Un anno che ci ha consentito, e non imposto, di prestare attenzione a noi stessi, di non distrarci dalla sconfinatezza che c’è in noi.

È stato un terremoto che ha permesso, ad alcuni, di trincerarsi dietro la paura, di assestarsi dietro un individualismo senza speranza, e ad altri, di scavare in profondità, di lasciarsi lacerare e così di cambiare il modo di osservare. La realtà e se stessi.

È stato un anno di transizione, ma soprattutto un anno di attenzione.

E non ci si può non augurare, per il 2021, di avere contatti più veri, più profondi, più genuini.

Contatti con persone che ci aiutino a metterci in dubbio, che non si arrendano all’evidenza ma che scelgano di andare oltre; contatti con persone che portino il caos nella stasi delle nostre emozioni.

Contatti reali, abbracci e baci che non facciano bene solo al fisico, ma che ci facciano sentire più completi, che riempiano davvero i nostri spazi interiori, quelli che appartengono a noi ma che doniamo agli altri.

Discorsi pieni, densi di significato e soprattutto di leggerezza, quella che ci aiuta a non prenderci troppo sul serio e a migliorare, quando la nostra anima esige un cambiamento.

7 commenti Aggiungi il tuo

  1. Alessandro Gianesini ha detto:

    Aver paura deve essere una cosa che ci aiuta a essere cauti, ma non a fermarci.
    Analizzare razionalmente gli eventi deve essere una risorsa in più, ma non un limite alle emozioni.

    Il calendario l’abbiamo cambiato, è vero, ma le pagine le giriamo 12 volte in un anno e se guardiamo l’agenda, la sfogliamo tutti i giorni, perciò, se pur è una tappa importante, è solo una di più grande impatto di quel che, in pratica, facciamo ogni giorno. E ogni giorno, su quel calendario, agenda o semplice foglio, lasciamo una traccia di aver vissuto: solo così potremo leggere meglio noi stessi e la realtà che ci circonda!
    Io, almeno, ci sto provando…

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    1. ailuig91 ha detto:

      hai un’agenda? io ancora non l’ho comprata per il 2021, e non ho neanche il calendario nuovo. così non posso tener traccia del tempo che scorre…meglio, vorrà dire che farò più attenzione a viverlo 😀

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      1. Alessandro Gianesini ha detto:

        Sì, ho dovuto comprarmela perché in banca quest’anno non le avevano… 😅
        Però hai ragione: meglio vive, che scrivere della vita… ma io non faccio testo. E comunque era metaforico il “lasciar traccia”, testina riccoluta che non sei altro! 😝

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      2. ailuig91 ha detto:

        per lasciar traccia ci sono i blog, simpaticone che si dà tante arie 😀

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  2. ugologu ha detto:

    Le aspettative eh, quelle fregano maledettamente.Ma neanche cambiare direzione,per non appagare le aspettative degli altri.Se coincidono di con i tuoi obiettivi….Ma poi quali sono i nostri obiettivi 😏.Ti racconterò un giorno del lavoro che faccio da qualche decennio e neanche so perché l’ ho scelto.Buon anno nuovo,in casetta nuova,in percorso nuovo,in testolina riccia🤗🥳

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    1. ailuig91 ha detto:

      Buon 2021 pieno di obiettivi😃

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  3. Lo scrittore volante. ha detto:

    Riprendiamoci !

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